Pantelleria è l’Islanda del Sud. Il suo paesaggio vulcanico crea una continua alternanza tra dolcezza e asprezza, mentre il sole delimita un mare potente, minaccioso agli occhi di un montagnard!
Il vento accresce l’impressione di isolamento dal resto del mondo, quel senso di libertà personale che solo una natura maestosa può concedere.
L’agricoltore, il vigneron, si colloca idealmente al centro del contesto pantesco grazie a un elemento chiave: la fatica. Perché sull’isola, lo capisci subito, nulla è semplice o scontato.
Salvatore Marino dell’Azienda Agricola Sapori di Pantelleria, coltiva e valorizza capperi. Ci accoglie al tramonto offrendoci un plateau delle sue creazioni in vasetto, dai paté alle marmellate.
Come quella della vite, la pianta del cappero è bassa, protetta dal vento tramite gli onnipresenti muri a secco.
È un arbusto dai boccioli piccoli, la cui cernita e successiva lavorazione sono maniacali. Il profilo di questi miracoli è sublime: va dal dolce al salato, dal fiore al frutto, ora morbido, poi croccante. Rustico, dal sapore ancora più raffinato di quello dei cucunci, ovvero dei boccioli non raccolti e lasciati diventare frutto.
Diverse coltivazioni, stessa filosofia: farsi un “grande culo” al campo, rientrare in azienda con un esito integro, conservare. Aziz è lo Zibibbo secco prodotto in azienda, ha toni delicati, la sua aromaticità salata spazia dall’arancia al pompelmo, sembra rosmarino, a volte menta.
Servito fresco è pura goduria: non capisco se sia il naso del vino a ricordarmi il cappero o se sia invece l’impronta della mia bocca sul bicchiere a scatenare questa sensazione. In ogni caso è un bianco mediterraneo, berbero, succoso e bevibilissimo, assolutamente riuscito.
Non ho chiesto a Salvatore se producesse aceto, perché il Balsamico di Sebastiano De Bartoli è il più buono che abbia mai assaggiato. E dire che sull’aceto a casa nostra non si scherza.
È una produzione confidenziale, “non si spreca niente” dice Sebastiano, e per fortuna. Balsamico su cui ci sono ancora ampi margini di studio, non necessariamente di miglioramento.
Ti chiederai quindi come sono i vini prodotti in contrada Bukkuram:
Pietra Nera è un bianco secco senza estrazione, da uve coltivate a Nord, teso, poco varietale, nonostante il carattere dello Zibibbo. L’ho trovato godibile, ma impoverito: mi racconta Sebastiano che la scelta di puntare sulla tensione, su esposizioni non canoniche, sulla pressa diretta è una scelta ben precisa, e io la rispetto.
Integer è uno Zibibbo macerato da vigne vecchie esposte a Sud-Ovest. Riposa in anfora e botti di rovere per 10 mesi. È un vino in cui è netta la differenza dal Pietra Nera, così netta che in questo caso mi sento di rimproverargli un patrimonio di orpelli (anfora, botte, macerazione, vecchi alberelli, tannino, volatile…) che responsabilizza eccessivamente il risultato finale.
E i vini dolci?
A Partire dal Sole d’Agosto, arrivando alla Riserva 2000 Padre della Vigna, passando per la 2009 si gode. Perché questi vini letteralmente condensano al naso e al sorso non solamente gli elementi naturali panteschi: cappero, sale, iodio, pietra lavica, amari di erbe (coca-cola), sole, macchia mediterranea, spezie; ma anche l’elemento umano a cui accenno inizialmente: la fatica.
Ottenere un grande passito non rientra certamente nella categoria del comfort, a partire dal lavoro in vigna, passando per quello in cantina, fino alla gestione dei lunghi affinamenti!
Scopro che Sebastiano è habitué della Valle d’Aosta, ci scambiamo i numeri e contattiamo un amico in comune per un saluto dall’isola.
È un mondo piccolo!
Le strade dell’isola sono strette! Tante volte sterrate, ripide, circondate da muri a secco. Aggiungici qualche curva cieca e l’idea di affittare un SUV ti sembrerà ridicola.
Raggiungo Francesco Ferreri di Tanca Nica dopo mille peripezie da GPS impazzito, in una vigna di Terra Forte. Mi spiega che è un terreno su cui vi è una minore concentrazione di pietra pomice. Me ne accorgo subito perché le mie infradito sprofondano nell’argilla.
Mi chiedo se nel Soki Soki, terreno più vulcanico e roccioso rispetto al Terra Forte avrei galleggiato: resta la certezza che solo uno sprovveduto entra in vigna a piedi nudi!
Francesco porta una radiolina a tracolla come compagna, è un’immagine che scatena in me tante riflessioni sull’ isolamento, il confronto con la mia vita in Valle d’Aosta, il cellulare, la libertà… La fatica.
Mi piacerebbe tornare sull’isola in autunno, amo la bassa stagione… Ci penso ora mentre sorseggio un Terra Forte 2022 qui a casa. La descrizione organolettica qui stride con l’estetica del momento: il vino riflette un’idea, un ricordo, uno stato mentale, l’aspetto sensoriale sfuma.
Degustare è viaggiare, degustare e viaggiare: devo ricordarmelo più spesso, voglio condividere questo pensiero con te.
La fatica è parte integrante del lavoro del vigneron, lo svago, il viaggio, l’altrove, è parte integrante della “fatica” del degustatore.
Nato ad Aosta nel Marzo del 1977, passo l’infanzia in skate. Poi snowboard, mountain-bike, trail… Musica, sempre, viaggi e contaminazione pure. Nel 2006 una Coulée de Serrant fa nascere in me l’amore per il Vino. Mi informo, assaggio, esploro, leggo e scrivo. Studio! Con ahimè pochissime occasioni di scambio e come sempre, senza indossare divise. Dal 2019 vendo la mia idea di Vino in Valle d’Aosta. Ma in fondo l’ho sempre fatto: raccontandolo agli amici, annoiando Francesca mia moglie, facendo scappare i miei figli, Bianca e Dante! Proprio la condivisione insieme alla natura del gusto, sono i cardini del mio approccio. Che è essenzialmente musicale, non necessariamente tecnico. Sicuramente emozionale e positivo. In una parola: hardcore!