Situata a una manciata di chilometri da Assisi, Capodacqua è una verde frazione del comune di Foligno che tristemente potresti già conoscere per i danni riportati nel sisma del 1997. Recentemente però, anche grazie alle radicate coltivazioni di vite e ulivo, come alla tartuficultura, ma soprattutto a un figliol prodigo che di ritorno da un viaggio per alcune delle più importanti cucine del mondo ha deciso di aprirci un ristorante, il suo nome inizia a farsi strada in maniera sempre più ricorrente tra i gourmet mangioni d’Italia e non solo.
Come si chiama il ristorante?
Une, che significa acqua, un termine forgiato su alcune antiche tavole bronzee risalenti al XV secolo rinvenute nella vicina Gubbio. Un nome che condensa le origini della regione con quelle di Capodacqua… e del vecchio mulino (dentro al quale si trova il ristorante) che alimentava il frantoio, ancora presente all’interno di una delle sale, che in passato veniva azionato grazie alle acque del torrente Roveggiano (fonte: corrieredellumbria.it).
Chi è il figliol prodigo?
Giulio Gigli, un folignate classe 1987 che, dopo gli studi all’alberghiero di Assisi, ha subito cominciato ad accumulare esperienza in alcune delle “insegne” più rinomate del globo: a Roma da Il Pagliaccio di Anthony Genovese, a Parigi al Le Cheval Blanc di Yannick Alléno, nella premiatissima cucina di Benu a San Francisco e infine per quattro anni al Disfrutar a Barcellona, il ristorante aperto da Mateu Casañas, Eduard Xatruch e Oriol Castro, i 3 delfini di Ferran Adrià, dove si è affermato come chef de cuisine e responsabile creatività.
Mi sembrerebbe perciò superfluo dirti che, sin dal giorno della sua apertura, il 1° agosto 2021, non vedevo l’ora di andarci a curiosare. Se ci ho messo tanto è solamente perché l’Umbria e la Liguria non è che siano propriamente così ben collegate… Beh, intanto posso sbilanciarmi raccontandoti che, oltrepassato il primo fulgido verde primaverile delle campagne circostanti per varcare la soglia di Une, tra il restauro conservativo del mulino, la luce che filtrava dalle finestre e la quiete di una parte dei ragazzi della cucina che spignattavano a vista nella prima sala del ristorante, ho subito avuto la sensazione di aver messo piede in un posto speciale.
Il resto te lo racconto dopo le fotografie scattate in quel pranzo domenicale di fine marzo.
La cucina di Une, termine scelto come nome del ristorante anche perché significa “unire”, si colloca senza apparire ossimorica tra modernità e tradizione, seguendo una rotta che passa per un importante impianto verde (orto, bosco…), per una futuribile ricerca del benessere degli ospiti quanto dei collaboratori e quindi per una meditata gestione delle risorse, dagli scarti alla destinazione delle energie. Il risultato è un momento creativo fortemente radicato nel territorio circostante, godibile senza alcun esercizio di comprensione perché mai schiavo della tecnica e dannatamente appetitoso. Inoltre non suonerà elegante, ma a oggi, tenuto conto dell’alto livello della proposta gastronomica, anche piuttosto inclusivo economicamente.
In tutti i piatti si respira grande premura, si percepiscono i gusti e il gusto, l’equilibrio e l’acume di un giovane cuoco di valore.
Tra la golosità della tigella aerea, la dosata influenza asiatica della lingua con le lumache e il gioco di consistenze del porro… questa volta davvero non saprei raccontarti, quasi, cosa ho preferito. Di certo mi sono piaciuti gli inganna preti, praticamente dei cappelletti senza ripieno dove domina il brodo di pane di segale, e il buonissimo piccione imbottito che però, in un ottica di cruda sostenibilità, mi è parso un po’ “sacrificato”. Divertente il formaggio con le fave realizzato assieme a Fattoria Calcabrina, splendida realtà eno-casearia di Montefalco che conosco da anni grazie agli divertenti Critical Wine a Cardini e alla lungimiranza di quel diavolo di un bottegaio di Guido Porrati. Di livello anche il comparto dolce, ma davvero eh.
Il pairing scelto, il più ampio dei due proposti in accompagnamento al degustazione (3 o 5 calici a rispettivamente 20,00 e 35,00 euro), oltre a sembrarmi molto conveniente, è costruito principalmente da vini naturali di aziende umbre; nulla di particolarmente spinto, ma perfettamente in grado di accompagnare i piatti in uscita dalla cucina.
Ah, la carta dei vini, avendo optato per l’abbinamento, perdonami, ma mi sono scordato di scandagliarla come al solito. Certamente, tenuto conto del pairing, sarà comunque ricca di vini naturali. Nel caso ti passasse per le mani fammi sapere com’è e cosa ne pensi.
Il servizio scorre via senza intoppi, fresco e sorridente, ritmato soprattutto nella seconda parte del pranzo; giusto con i vini, siccome a chi mi accompagnava toccavano invece 3 calici, è stata fatta un po’ di confusione ritardando la mescita dei due in aggiunta sino alla mia segnalazione. Sciocchezzuole comunque.
Insomma, potrei anche suonarti astruso, ma sulla via del ritorno, soddisfatto e satollo, tornatomi in mente “Air Gear”, la splendida opera del mangaka Ogure Ito (Oh Great! ai più), non ho potuto fare a meno di pensare che, incamerata l’energia che certi inevitabili traguardi apportano una volta raggiunti, Giulio Gigli e Une si trasformeranno in uno sconfinato cielo azzurro sotto cui gli uccellini saranno felici di volare.
Ristorante UNE
Via Fiorenzuola, 37
06034 Capodacqua PG
+39 334 885 1903
www.ristoranteune.com
Menù degustazione:
Acquedotto, 55,00 euro
Relazioni, 70,00 euro
Completo, 85,00 euro
Vini naturali in carta: sì