Spesso accorpato o addirittura confuso con la Savoia, il Bugey (VDQS dal 1958 e AOC dal 2009) è un piccolo vigneto spezzettato di soli 250 ettari, di matrice prevalentemente calcarea, situato tra l’area montana e la pianura a nord di Lione.
Popolato da un misto di vitigni borgognoni come il Gamay, il Poulsard o lo Chardonnay e savoiardi come l’Altesse o il Jacquére, sino a un decennio fa, un po’ per lo scarso blasone e un po’ per la sua identità territoriale indefinità ai più, sembrava essere una di quelle regioni vitivinicole senza un grande futuro dinanzi a sé.
Basti pensare al fatto che la produzione più importante della zona è sempre stata il Cerdon, uno spumante prodotto da Gamay e Poulsard, noto più per il residuo zuccherino furbetto che per essere l’unico ancestrale AOC di Francia.

Eppure, circa un decennio fa, quando tutto sembrava volgere al peggio, la situazione è d’improvviso cambiata. Con l’avvento del vino naturale e delle nuove generazioni di vignaioli, attirate da più di un 30% di vigneti già condotti almeno in biologico e dalla bassa quotazione della “terra”, i consumatori hanno iniziato a cercarne i profumati vini, storicamente freschi e senza troppo alcol, due caratteristiche che lasciano ben sperare anche per quanto riguarda i problemi causati dal cambiamento climatico.

Sans Titre 2020 di Grain par Grain - Instagram

Le fotografie della vigna e della produttrice provengono dal suo account Instagram

Tra i produttori più ispirati del Bugey c’è sicuramente Caroline Ledédenté. Ex ingegnere architettonico, si appassiona prima alla ristorazione e poi al vino quando, per arrotondare durante gli studi, comincia a lavorare in un’enoteca parigina. In quel periodo, dopo il folgorante assaggio di una bottiglia di Patrick Desplats (Anjou), decide di “tornare a scuola” e, affascinata dalla recente scoperta dello Jura, si iscrive al Lycée Agricole de Montmorot. Ma è dopo un’esperienza nel Bugey da Gregoire Perron che sente finalmente di aver trovato una seconda casa, il luogo giusto dove iniziare un progetto tutto suo. Grain par Grain vede la luce infatti nel 2018 quando Caroline esce con le sue prime bottiglie di Chardonnay.

Sans Titre 2020 di Grain par Grain: alla scoperta del Bugey (FR) con Caroline Ledédenté

Dinanzi al suo Sans Titre 2020, tra l’etichetta “funky”, il tappo a vite e l’assenza di memoria gustativa circa il Bugey, non sapevo proprio cosa aspettarmi. A dirla tutta non è che le mie speranze per questo Altesse, proveniente da Corbonod e vinificato in vetroresina in totale assenza di solforosa, fossero altissime (perdona il gioco di parole).

Beh mi sbagliavo. Come ricorda scherzosamente il suo nome, il Sans Titre non avrà pure un titolo reale, ma prima colpisce con un caleidoscopio olfattivo che svaria dall’erbaceo al mielato per poi finirti grazie a una spiccata mineralità, tanta energia “naturale” e una discreta persistenza, rivelandosi equilibrato anche grazie a un’educata componente morbida (13,5% vol.) che non mi aspettavo. Insomma, davvero una piacevole scoperta che mi ha fatto venire voglia di partire alla volta del Bugey. Oltre che di assaggiare gli altri vini di Grain par Grain.

E tu? Hai mai assaggiato un vino di Grain par Grain? Conoscevi già i vini del Bugey?

 

Le fotografie della vigna e della produttrice provengono dal suo account Instagram

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