Quando si parla di Sardegna i primi due vitigni che vengono in mente sono senz’ altro il Cannonau e il Vermentino. Penso sia normale visto che comunque sono le 2 varietà più coltivate e più conosciute. Ma se ti dicessi che fino a una quarantina di anni fa il vitigno bianco più coltivato della regione era un altro?
Sto parlando del Nuragus, varietà autoctona con radici molto antiche sull’isola. Infatti la tesi più quotata è che fu introdotto in Sardegna dai Fenici approdati nell’antica città di Nora nel XII secolo a.C.. Ad arricchire questa tesi è il prefisso di origine punica Nur che significa fuoco, che stava a indicare il colore rossastro delle uve che maturano al sole. Da lì poi ci fu l’espansione verso le colline e le pianure del Campidano di Cagliari e di quello di Oristano.
Ovviamente c’è anche un’altra tesi che alcuni studiosi ritengono valida ed è quella secondo cui la varietà prende il nome da Nuragus, paese in cui germogliarono i primi esemplari a cui inizialmente furono dati dei nomi dialettali come Abbondosa (abbondante) e Burda (rustica, selvaggia), tutte caratteristiche di questo vitigno.
Beh, una sola cosa è certa ed è che non sono state trovate altre corrispondenze in giro per il mondo: quindi il Nuragus è un unicum sardo che non si trova da nessun’altra parte.
Come già anticipato, la sua produzione si concentrò soprattutto nel sud Sardegna e nella provincia di Oristano. Le caratteristiche che lo resero così popolare furono innanzitutto la sua adattabilità ai diversi tipi di terreno e la resistenza alle malattie crittogamiche, ma anche la sua grande produttività. Fino alla fine degli anni 70 era infatti il vitigno bianco più coltivato in Sardegna, ma da qui in poi iniziò il suo lento declino. Nonostante nel 1975 fu istituita la DOC Nuragus di Cagliari gli ettari vitati incominciarono a diminuire. Sicuramente i due fattori scatenanti furono gli incentivi della Comunità Europea per l’espianto delle viti e il prezzo sempre più basso a cui veniva pagato dalle cantine. Infine, di certo non aiutò il successo che iniziò ad avere il Vermentino che di lì a breve divenne il vitigno bianco più coltivato in Sardegna.
Oggi il Nuragus è prodotto solo da poche cantine, spesso camuffato con altri vitigni oppure svilito della sua personalità da pratiche enologiche atte a farlo assomigliare al Vermentino. Una delle zone dove è ancora ampiamente coltivato è sicuramente il Parteolla, un territorio costituito da pianure e basse colline non troppo distante dal capoluogo sardo, circa 20 Km, vocato non solo per la vite, ma anche per l’ulivo. Per questo motivo, si pensa che il nome derivi proprio dalla diffusione di quest’ultimo e che i romani per questo chiamarono l’area Pars Olea. Ovviamente anche qui la vite è coltivata da millenni, con tracce che risalgono all’epoca nuragica.
Tra i vari paesi che fanno parte del Parteolla troviamo Serdiana, un comune famoso per la vocazione alla coltivazione della vite e sede di alcune importanti cantine. Ma, come ben immaginerai, oggi non ti parlerò certo di loro. In mezzo a queste “grandi” aziende si trova infatti una piccola realtà che dal 1993 coltiva i suoi vigneti in biologico e vinifica le proprie uve senza l’utilizzo di coadiuvanti enologici. Sto parlando dell’azienda Altea Illotto. Qui Maurizo (Altea) e Adele (Illotto) da subito hanno voluto produrre vini che esprimessero l’amore verso il loro territorio rispettando però l’ambiente e nei loro 5 ettari coltivano esclusivamente vitigni autoctoni all’interno della denominazione Sibiola IGT, la delimitazione di territorio più piccola della Sardegna.
Ah, logicamente producono anche un Nuragus (quasi in purezza) di cui ti parlerò tra poco, pochissimo.
Il Papilio è un vino a base di Nuragus (95%) e Nasco (5%). Le uve arrivano da un vigneto di circa 70 anni che affonda le radici su un suolo costituito da marne calcaree. Le rese sono bassissime, circa 30 q/ha, la fermentazione spontanea con macerazione di 24 ore, l’affinamento in botti di ceramica. Ci tengo a dirti che la 2022 è la prima annata in cui l’hanno imbottigliato senza aggiunta di solfiti (solforosa totale: <10mg/L) e sono state prodotte solo 450 bottiglie. Sarà anche l’ultimo Papilio che troverete in commercio per diversi anni. Infatti Adele e Maurizio vista la scarsa produttività, e la disgraziata annata 2023 in cui non ha prodotto quasi nulla, hanno deciso di espiantare la vigna per dar vita a un nuovo vigneto sempre di Nuragus.
Siccome adesso vorrai sapere com’è questo Nuragus, ti accontento subito…
È un vino di gran carattere. Entra e ti dà l’impressione di espandersi immediatamente andando a toccare ogni punto della bocca. Il tannino, un po’ rustico, ma comunque leggero, avvolge piacevolmente il palato e inizialmente si percepisce una leggera petillance che solletica la lingua, mentre l’acidità, molto ben bilanciata, dona al sorso la giusta scorrevolezza nonostante un corpo discreto. In bocca si susseguono prima sensazioni floreali e un pochino di frutta a polpa gialla non troppo matura, per poi virare su note balsamiche e di macchia mediterranea. Il finale invece è di stampo minerale con sfumature che ricordano il gesso e il salmastro, la chiusura leggermente salata.
Insomma, dietro un’indole appena un po’ rude, nasconde una bella complessità, un buon carattere che arriva direttamente dalle ricche bucce di quest’uva alla quale basta una macerazione brevissima per ottenere colore, tannino e struttura. Difatti, in tempi passati, i contadini, tra cui anche mio nonno paterno, lo vinificavano proprio così. E tu, quando sulle etichette di Altea Illoto leggerai “Vitigni tradizionali, fermentazioni spontanee per un vero vino Sardo”, sappi che è davvero così.
PS: qualora assaggiassi il Papilio 2022 o un altro dei loro splendidi vini non ti scordare di farmi sapere come li hai trovati. Idem per altri Nuragus…
Altea Illotto Azienda Vitivinicola
Via Don Minzoni, 12
09040 Serdiana (SU)
+39 339 677 3628
www.alteailloto.com
Cagliaritano DOC classe 1984, Esperto Assaggiatore ONAV e consigliere per la delegazione cittadina della medesima, mi son avvicinato al mondo del vino circa una decina di anni fa, innamorandomi fin da subito del movimento “naturale” e in seguito anche delle fantastiche persone che lo popolano. Galeotto fu un seminario di degustazione in 4 serate tenuto a Cagliari da Sandro Sangiorgi, del quale, pur senza capirci a quel tempo una benemerita mazza, ancora ricordo, per filo e per segno, alcuni degli splendidi vini assaggiati. Mi colpirono per la loro istintività, di come allo stesso tempo riuscissero a essere imprevedibili e conviviali. Un sogno? Aprire una piccola enoteca con mescita. Dove? A Cagliari. E dove sennò.
Un vigneto antico, un vino bianco di gran carattere e piacevolezza insieme.
Concordo pienamente. Peccato solo che sia l’ultima annata da questo vigneto antico.