Mi ha sempre infastidito il fatto che, parlando con chi davvero c’è stato, non sia mai riuscito a farmi un’idea “terrena” a proposito dell’Osteria Francescana.
“Grande Massimo” , “Che persona” , “Tutto fantastico”, “Un fuoriclasse”, “Il mio chef preferito” e poco altro.
E l’ambiente, il servizio, la carta dei vini e, soprattutto, il cibo?
Ok, dilungarsi sul due volte “miglior ristorante del mondo” potrebbe pericolosamente mettere a nudo la propria sensibilità gastronomica, ma conservare un’ipotetica dignità in materia è davvero così appagante?
Per questo motivo, mettendo da parte il poco contegno rimastomi, ho pensato di scrivere un breve racconto, dai personaggi inventati, basato sul mio pranzo domenicale del 20 dicembre 2020 con la speranza che se anche tu come me non ci hai mai capito granché e non vorresti fermarti a un “Che esperienza” o a uno sterile punteggio numerico attribuito dai media o dalle guide del settore, possa dar pace allo stomaco tuo. E poi ne ha già scritto chiunque e avevo voglia di confrontarmi con qualcosa di diverso.
Nel romanzetto troverai anche dei box a tendina (clicca sul + per aprirli) con, spero, tutte le informazioni che ti servono per un eventuale visita. Nel caso non avessi tempo da perdere puoi consultare anche solo quelli.
Ah, se dopo averlo letto deciderai di non seguire più questo blog, non ti preoccupare: ti capisco.
Buonasera Carissimo, mi chiamo Massimo, il fato ha voluto come le due personalità che stimo di più nell’intero universo: lo chef Massimo Bottura e Massimo Decimo Meridio, il protagonista de Il Gladiatore, capolavoro a cui mi ispiro tutti i giorni nel mio lavoro: sono un avvocato civilista del glorioso foro di Genova.
Vivo appunto in via Flora, nel cuore nobile della Superba, Albaro, con i miei genitori. La mia adorata mamma soffrirebbe troppo se il suo cucciolo se ne andasse. E poi mi è sempre andata bene così: qui posso concentrarmi sulle mie due vibranti passioni, l’avvocatura e l’alta, altissima, gastronomia.
Quando non riesco a uscire dalla mia prigione dorata per nutrirmi l’anima visitando un ristorante – rito che onoro inderogabilmente prenotando un seat molti mesi prima, senza lasciare nulla al caso: studio in anticipo il menù, lo chef, il personale di sala, la carta dei vini e qualunque cosa possa materializzarmisi davanti – mi trasformo in Io Bombolo, il mio alter ego social, un avatar di Facebook che uso per dispensare i plateaux di saggezza e le emozioni apprese sulla mirabolante via della bontà assoluta, la strada che cammino ogni giorno, incensando gli chef, oramai acclarati amici, meritevoli della mia attenzione e altresì bacchettando coloro i quali invece si compiacciono di uno svilente “mappazzone”.
Carissimo, mai accontentarsi! È la mia regola assoluta.
Ehi ciao, mi chiamo Pietro e sono un operaio metalmeccanico, professione che non mi stressa e mi ha sempre permesso di mandare avanti le mie passioni: l’orto, la caccia e la vigna. Belin, dalle piante di Sciampagna della mia famiglia tiro fuori, a seconda dell’annata, quasi 1000 bottiglie di vino bianco – oltre a un po’ di grappa – che tutto il paese mi invidia per quanto sono buone. Sono sposato con Claudia più o meno da quando ho preso la patente e ho un figlio, Vincenzo, che quest’anno compirà diciotto anni e frequenta la scuola alberghiera per diventare cameriere. Sogna di lavorare sulle navi per girare il mondo. Contento lui contenti tutti, ma chi proseguirà il lavoro nei campi? Se me li immagino abbandonati… belin!
E adesso scusami, ma devo andare a mettere le canne alle fave.
(NdA: Massimo) Carissimo, non mi capacito di come sia finito in questa situazione. O meglio, mai avrei potuto immaginare che una delle mie armi più nobili, che utilizzo per spingere frotte di clienti a fare qualunque cosa io voglia, si sarebbe rivelata fatale. Ma permettimi di esporti i fatti a partire dall’appuntamento svoltosi nel mio studio.
“Si fidi di me, proseguiamo come le ho esposto e vedrà che la proprietà tornerà a chi di dovere: lei, mio caro. Magari i tempi si allungheranno un po’, una lunga battaglia ci aspetta, ma il risultato è certo. E per celebrare la vittoria, la porterò nel miglior ristorante del mondo, l’Osteria Francescana. Dal mio amico Massimo Bottura. A proposito, possiamo anche prenotare subito che i tempi di attesa sono sempre lunghi e mi spiacerebbe doverlo disturbare sul cellulare privato per codeste minuzie.” Tanto online non si trova mai posto e, passato un po’ di tempo, andati avanti nella causa, chiunque si scorda delle mie melliflue promesse, gastronomiche e non.
Che poi carissimo, non si deve sapere nei nobili salotti della ristorazione, ma io alla Francescana non ci sono mai stato e Bottura l’ho incontrato solo in fotografia o nel primo episodio di Chef Table su Netflix. Tutti i mesi provo imperterrito a prenotare senza esserci mai riuscito.
Mesi fa frustrato dai continui fallimenti ho pure allungato 50 euro a Jennifer, il colf di mia madre, perché il primo del mese, quando aprono le prenotazioni, stesse tutta la mattina a refreshare il sito, con la speranza di una prenotazione online che non è mai arrivata. Ovviamente ho onorato il mio debito, al netto di un piccolo sconto che mi sono concesso in virtù del profondo sentimento di amicizia che mi lega a lui, ma mi è rimasto il dubbio che neanche avesse capito cosa doveva fare. D’altronde le questioni prioritarie vanno risolte in prima persona. È la mia seconda regola assoluta… o forse la terza?
Prenotare
Un pasto all’Osteria Francescana va programmato alcuni mesi prima. Per capirci, le prenotazioni per settembre 2021 apriranno alle 10,00 del 1 marzo del medesimo anno. E siccome si esauriscono sempre in pochi minuti, ad oggi non esiste la certezza dell’accaparrarsi un tavolo. Anche quando si riesce a compilare il form, occorre attendere una mail di risposta. Il tavolo va confermato una settimana prima della data scelta, via telefono o tramite il promemoria inviato dalla struttura. In più ho saputo che è anche possibile tentare passando direttamente all’Osteria, nella speranza che qualcuno abbia disdetto. In questo periodo storico, certamente, riuscire nell’impresa risulta meno proibitivo a causa della quasi totale mancanza di stranieri e alla chiusura delle regioni. C’è chi giura di avercela fatta telefonicamente, ma non so se crederci. Ah, è necessario comunicare i dati di una carta di credito perché la policy del ristorante prevede un addebito di circa 200 euro a persona per i casi di no show.
Tornando a noi Carissimo, ovviamente il cliente non ha saputo resistere alla mia arte di principe del foro. Sono sicuro di aver visto scendere una lacrima sul suo viso dinanzi alla magnificenza della mia irrinunciabile proposta. La disgrazia è stata che quando, inaspettatamente, mi ha intimato “Procediamo!”, gli amici americani erano pandemicamente bloccati a casa e, per la prima volta in un lustro di tentativi, erano disponibili un insolito numero di opzioni di prenotazione.
Ma mai darsi per vinti. Con un ultima zampata da leone, ho proposto di scegliere il 20 dicembre. “Carissimo, mi creda in quel periodo Modena è bellissima e Massimo dà il meglio di sé”, oltre alla certezza che con il coronavirus a dicembre saremo tutti quarantenati in casa e ciao ciao Francescana assieme a questo bifolco. E comunque, anche se perdiamo, il mio onorario sempre quello rimane e una cena in un tristellato posso anche concedergliela. Perché date a Cesare quel che è di Cesare, ma, come dico sempre io, anche a Massimo quel che potete, eh.
Fatto sta che oggi, 20 dicembre, è l’ultimo giorno, prima delle feste, in cui hanno concesso di transitare tra Liguria ed Emilia. Sciagurata sorte! Per non andare con la sua ape Piaggio, ho pure dovuto chiedere l’ammiraglia a mio padre. Che tra le altre bagatelle, ci offrirà pure la tratta con il suo telepass. Mica potevamo andare con la mia Mini, regalo ricevuto per la mia brillante maturità classica. Sono un avvocato io, brillante per giunta.
Bando alle ciance, in qualsiasi modo la si veda sto per realizzare il mio sogno, mangiare all’Osteria Francescana, il più volte vincitore della World’s 50 Best Restaurants, la classifica del mio carissimo amico Andrea Petrini. Mai conosciuto neanche lui, non sono neanche certo che la classifica sia sua.
Certamente indossare la mascherina per tutto il viaggio e il tempo sulla Cisa oggi non aiutano.
(NdA: Pietro) Belin, non so proprio come sono finito in questa situazione. Quando l’avvocato mi ha detto che non avrei più dovuto dividere la stalla di famiglia con il parentado del sud, mi sono commosso e non ci ho capito più una fava. E poi mi sembrava scortese rifiutare l’invito di una persona così illustre e che mi sta aiutando senza chiedere niente, ripetendomi sempre “non si preoccupi carissimo, pensiamo a vincere”. La prossima volta dovrò portargli almeno una latta d’olio, qualche uova e un paio di bottiglie di Sciampagna.
Che poi mica lo sapevo che mi portava a Modena. Io, tranne che per il viaggio di nozze in Sicilia, a Natale – d’estate ci sono troppi lavori nei campi e la fabbrica è aperta, mi dispiace assentarmi se non fermano la produzione – non sono praticamente mai uscito dalla Liguria. Per di più in autostrada. Ho pure provato a offrirmi di spostarci con la mia fidata ape, magari passando a trovare mio cugino Fausto a Varese Ligure, “Sapesse che funghi mette via”, ma niente. L’Avvocato da gran signore quale è, è stato irremovibile e ha voluto prendere una delle sue tante macchine. Non mi è rimasto altro che farmi dare dieci gocce di tranquillante da Claudia. E comunque, anche se oggi potevo essere a caccia, o a coccolare i miei coi (NdA: cavoli in genovese), sto per lavare via il mio più grande rimpianto: riprendermi la stalla di famiglia. Su con il morale.
Certamente indossare la mascherina per tutto il viaggio e il tempo oggi non aiutano.
“Carissimo, mi è sembrato di capire che lei conoscesse già Massimo e il suo divino tempio. Sbaglio?” E complimenti per la camicia a quadri, con quella manco al defunto Faviken ci avrebbero fatto entrare. Comunque, in caso di problemi, basterà ricorrere alla mia assoluta arte oratoria con il personale del ristorante.
“No Avvocato, non sbaglia. Mio figlio mi ha fatto vedere una trasmissione sul computer che parlava del suo amico.” Belin, alla prima scena mi sono addormentato.
“Ah! Abbiamo un estimatore del Number One in casa! Se mi informava per tempo, avremmo potuto portare con noi anche il giovine. Bisogna abituarli a certe situazioni sin da infanti… e come mai se mi è permesso chiedere?” Piuttosto che entrare alla Francescana con due boscaioli mi facevo radiare dall’albo.
“Veramente fa l’alberghiero…”
“E chiaramente, Carissimo, ha Massimo come modello di vita. Ovvio, oltre a essere il miglior chef che si possa incontrare è anche un filantropo come se ne trovano pochi…”
“No Avvocato. Si sta specializzando come cameriere, il suo sogno è viaggiare per il mondo sulle navi e il suo mito è un certo Dottor Palmieri. Vede, nel sacchetto ho anche un suo libro che ci terrebbe tanto venisse autografato.” Belin, speriamo che l’Avvocato non si offenda, ma come facevo a dirgli di no. Come se Gesù mi firmasse il crocifisso in camera da letto. Sai che invidia in paese, il Don ne morirebbe.
Sorridendo a denti stretti “Folgorato sulla via della sala! Ottimo. Ci mancherebbe. Ha fatto bene, anzi benissimo. Giuseppe Palmieri è il restaurant manager del ristorante sin dalla notte dei tempi. L’uomo del basso profilo e altissime prestazioni. Vedrà che stile, che classe e che disponibilità!” E io che per non fare la figura del buzzurro ho lasciato a casa la mia copia, anche quelle dei libri di Bottura. Ma porca put****!
“Che bello, non vorrei proprio deluderlo” e sentirmi dire da mia moglie per l’ennesima volta che penso solo all’orto. Adesso però devo dire qualcosa io: “Avvocato, mi scusi, che musica stiamo ascoltando?”
“Carissimo, lei è un uomo attento. Ma questo l’avevo già capito nel mio ufficio. È la discografia completa dei Beatles. Sa, il menù dell’Osteria Francescana in questo periodo è un’immersione nella parabola musicale dei Beatles da Sgt.Pepper a Lucy. Un viaggio vinilico che pure nell’esposizione profuma di Long Playing: undici titoli beatlesiani, non di rado strapazzati, torti e modificati, per altrettante composizioni, e l’immancabile “reprise” alla fine come tanto amavamo scoprire alla fine dell’album. Una sventagliata di omaggi alla brigata, mai così compatta e solida, una falange che risponde come un sol uomo con un tonante unisono a quel “Marcia!” che segna l’inizio della cavalcata (Da “Osteria Francescana: il nuovo menu di Massimo Bottura nel segno dei Beatles” – 5 giugno 2020, www.gamberorosso.it).” Questo energumeno, come minimo non sa nemmeno chi siano o preferiva i Rolling Stones (NdA: in realtà scambiando due parole con Massimo Bottura ho capito che il concetto dietro a questo menù è un altro, oppure è cambiato nel tempo. Ma te ne parlerò più avanti nel post).
“Che bella storia. Anche se non capisco molto cosa mangerò.” Belin, non ci ho capito una m*****a. Però non mi dispiacciono questi Beatles, anche se Franca Lai, per me, rimane la numero uno.
Parcheggiare
“L’Osteria Francescana si trova in una Zona a Traffico Limitato (ZTL), pertanto se non si è in possesso di autorizzazione, l’ingresso e la sosta all’interno della ZTL saranno soggetti a sanzione amministrativa. Il parcheggio su strada più vicino si trova in viale Vittorio Veneto. All’altezza del numero civico 59 è presente un passaggio pedonale coperto che in pochi minuti porta al nostro ristorante, in via Stella 22. Sconsigliamo di lasciare oggetti di valore e bagaglio in automobile, poiché si tratta di un parcheggio non custodito. Se si preferisce un parcheggio sorvegliato, consigliamo il parcheggio del Centro, collocato appena fuori dal centro storico.” (Dalla e-mail di conferma della prenotazione del tavolo)
“Carissimo, eccoci.” Mi ci sono voluti anni e ora non sto più nella pelle. Non mi sono ancora accomodato, eppure è già il mio ristorante preferito. D’altronde lo è sempre stato. E speriamo, vista la compagnia, che il Signore mi faccia la grazia.
“Avvocato faccio strada. Non si apre…” Bah, questo è l’ingresso del miglior ristorante del mondo? In questo vicolo? E le finestre? E come si apre la porta? Gesù aiutami tu, spero di non far fare all’Avvocato brutte figure.
“Carissimo, bisogna suonare il campanello.” Ecco, lasciamo stare.
Aperta la porta del paradiso abbiamo trovato ad accoglierci praticamente tutta la sorridente brigata di sala: il restaurant manager Giuseppe Palmieri, il suo braccio destro Garelli (NdA: se era il sinistro, siccome non distinguo Andrea da Luca, permettimi di fare ammenda) e i ragazzi di sala, tutti molto giovani e ovviamente elegantissimi in completo scuro. Unico vezzo le mascherine tutte diverse.
“…” Argh! Belin, ma che caz**… Cosa ci fa un manichino seduto all’ingresso sepolto di belinate?
“Che succede Carissimo? Scommetto che non aveva mai visto una statua di Duane Hanson, o sbaglio?” Neanche io se è per quello, ma ne ho letto su tutti i giornali. “Superba vero? Sa alla Francescana si respira arte in ogni dove, non solo nei piatti. Vedrà quanta poesia.”
“…” Belin.
Rose
Rose (vero nome dell’opera: Flea Market Lady), la signora seduta all’ingresso in mezzo al suo mercatino delle pulci, in realtà è un blocco di bronzo da 250 chili concepito dal maestro dell’iperrealismo americano Duane Hanson (1925-1996). Simboleggia il rinnovamento interiore attraverso una rappresentazione della primavera, la stagione in cui in America la gente mette in vendita, davanti a casa, vecchie oggetti da far fuori.
A quel punto, dopo i salamelecchi di rito, disinnescato lo stupore del mio accompagnatore, siamo stati accompagnati al tavolo. Ma Carissimo, mai cantare vittoria anzitempo. Me lo ha insegnato Massimo, Decimo Meridio ovviamente. Infatti nel tragitto, dinanzi a un quadro dalla presenza pollockiana, quel maledetto, si è bloccato di nuovo. “Carissimo, un’altra folgorazione? Proceda, che il mio stomaco comincia a reclamare le creazioni di Massimo” e non siamo mica da Maria la sucida. Ma come si fa a non volersi precipitare nel sogno di ogni homo sapiens che si possa definire tale?
“Certo Avvocato, mi scusi.” Belin, quel quadro aveva qualcosa di magnetico. Non ho ho manco capito cosa rappresenti, ma per un attimo mi ha ipnotizzato.
Gli interni
Successivamente al recente restyling che ha spazzato via il precedente stile minimalista a favore di un moderno barocco, l’Osteria Francescana si presenta come un museo di arte contemporanea, profonda passione di Massimo Bottura e della moglie, Lara Gilmore. “Un percorso di fiori abbozzati nel buio che in sala sbocciano ed esplodono, diventando un giardino con insetti che cercano il nettare nelle corolle. Sale colorate, piene di quadri dai colori vividi, installazioni, punti luce leggeri dalle luci calde. Tante opere d’arte.” (Da un articolo di Repubblica del 22 gennaio 2020) Il pavimento è rivestito da una speciale moquette tridimensionale realizzata dal celebre designer belga-olandese Marcel Wanders, c’è una ruota multicolori di Damien Hirst e nei bagni, come sulle pareti, farfalle ovunque. Il corridoio valorizza una tela di Dan Colen che ricorda un’opera di Pollock. In realtà i segni colorati sono chewing-gum masticati e attaccati… Si potrebbe andare avanti per ore senza riuscire a essere sufficientemente esplicativi. L’Osteria Francescana è un luogo che per essere compreso va visitato.
Posate le giacche sullo schienale delle nostre sedie (il guardaroba in pandemia, per ovvie ragioni di sicurezza degli ospiti, non è attivo), ci è stato consegnato il menù in formato cartaceo, una copia per ciascuno che può anche essere portata a casa, e indicato che il resto potevamo trovarlo scansionando il QR code situato sul poggia borse accanto a noi, dove la mia nemesi ha riposto il sacchettino contenente il libro da farsi autografare. Scorta l’espressione facciale scaturita sul volto del mio commensale all’apertura del menù, prima che potesse tirare fuori una delle sue stramberie, sono dovuto intervenire. “Carissimo, per la scelta delle pietanze non ci sono dubbi, andiamo di degustazione! E spero mi concederà di occuparmi della scelta del vino. Lei pensi solo a godersela.” Lui, facendo sì con la testa, ha balbettato qualcosa di incomprensibile, così, senza indugiare oltre, mi sono addentrato nei meandri della famosa carta dei vini dell’Osteria Francescana. Di scegliere il wine pairing, sette calici e un cocktail per 190 euro a persona, non se ne parlava proprio. Dovevo cercare di contenere il corrispettivo almeno qui. Amando io il vino naturale, non avrei avuto problemi a pescare qualcosa di popolare che faccia felice il suo gusto contadino. Tanto più che riscontrando un eventuale volatile consistente, si sentirebbe a casa, considerate tutte le volte in cui mi ha parlato del suo vino, la fantomatica Sciampagna. Chissà che schifo. Mi viene da ridere…
Belin, mi sento una mer**. L’Avvocato è una persona talmente premurosa nei miei confronti che mi fa impazzire fargli spendere quanto ho pagato per Wendy e Fiona, le mie due capre Saanen, in un pranzo. Ma avranno mica sbagliato a scrivere? E poi ma che caz** sarà sta roba? Cellofenne flovver in the ski… Devo calmarmi, sto sudando. Fortuna che sta facendo tutto lui. Ma poi come si farà a mangiare tutti quei piatti? Saranno piccolini come quelli che mi ha fatto vedere Vincenzo. Mi viene da ridere…
Carissimo, quale etichetta potrei ordinare? Di procedere al bicchiere non se ne parla, praticamente il corrispettivo di due calici consente già di scegliere tra alcune bottiglie. Non voglio esagerare con l’alcol perciò, prevedendo di consumare una sola bottiglia, se questo cinghiale che mi accompagna me lo consente, ho bisogno di un vino che ci sostenga per tutto il pasto. Da una prima analisi delle portate, restringerei a una bolla tagliente, un gastronomico bianco macerato o un rosato verticale di buona personalità. Certo che i ricarichi, importanti anche se commisurati ad altre situazioni di questo livello, non è che invoglino molto. A questo punto direi o un Kaplja 2003 di Podversic o una delle tre annate di Cerasuolo di Valentini, 2017, 2018 e 2019. Magari non proprio quello che bevo ultimamente, non facendo parte della new wave del naturale, ma certamente due vini dalla conclamata eticità e sicura grandezza. E poi non rientrano nella categoria dei meno cari che a un professionista come il sottoscritto non si addice per niente. Beh, sono stufo di trastullarmi: penso che il 2017 di Valentini, dopo un paio di anni passati in bottiglia e considerato che che è in carta allo stesso prezzo delle più recenti annate, sia perfetto. Ho deciso, e adesso mettiamo alla prova il giovane sommelier.
Belin, certo che l’Avvocato è sempre una persona seria. Guarda come cavolo è concentrato.
“Carissimo, un gravoso dubbio ci assale. A causa del lungo viaggio che ci attende al ritorno, vorremmo concentrarci su una sola bottiglia che ci culli per tutto il pranzo. Avevamo pensato al Kaplja 2003 dell’immenso Podversic o a uno dei tre Cerasuolo del mio amico Valentini. Cosa ne pensa? Ha altri nettari da suggerirci?” Tanto so già cosa ordinare.
Il sommelier: “Due fantastici vini. Il Kaplja di Podversic è un orange molto strutturato, aggressivo e potrebbe imporsi troppo su alcune portate. Il Cerasuolo di Valentini, siccome lo conosce già, non glielo presento, ma, se vogliamo escludere una bolla, penso possa essere un compagno ideale.”
“Concordo Carissimo, quale millesimo consiglia?”
Ancora il sommelier: “La più recente, ci occorre la sua freschezza”
Carissimo sommelier, col cavolo che ti faccio il favore di preservare la mini verticale in carta. Sta a vedere. “Ma…”
“Belin, ehm volevo dire concordo! Mi piace la freschezza dei vini giovani,” Belin, qualcosa dovevo dire anche io, se no che figura ci faccio con l’Avvocato. Comunque mi aspettavo una situazione più pesante, ingessata, se si dice così. L’aria invece è molto rilassata, i camerieri gentilissimi oltre che bravissimi, umani. Ci vedrei bene il mio Vincenzo. A proposito: ” Avvocato, questo ragazzo così gentile non era il Dottor Palmieri, vero?”
Ma porca p******. Stai calmo, non è successo niente. Tutto sommato ‘sto pastore è sembrato pure una persona normale. “Vero Carissimo, il Sig. Palmieri non è ancora passato in sala, ci ha solo salutato all’ingresso. D’altronde, come le dicevo in macchina, lui è l’uomo del basso profilo e altissime prestazioni, non ha bisogno di prendersi subito la scena. Ma stia tranquillo. Verrà il suo momento. Ora mi dica: come trova il Cerasuolo? Lei produce vino quindi avrà sicuramente un pensiero in merito. Sono curioso.” Visto che sei un esperto, adesso ti sistemo io…
“Mi piace molto, è uno dei vini più eleganti che abbia mai avuto la fortuna di assaggiare. Eppure conserva un nonsoché di contadino. Mi ricorda una passeggiata nei boschi: mirtilli, more, fragoline, una manciata di castagne e qualche erba selvatica calpestata dai miei stivali. L’utilizzo della solforosa non mi dà fastidio. Direi che ritrovo nel bicchiere l’andamento climatico dell’annata, afosa a giugno e luglio, ma dal finale caratterizzato da una bella escursione termica. Che poi Avvocato, mi perdoni, ma questi discorsi sull’annata lasciano il tempo che trovano perché ogni paese, che dico vigna, fa storia a sé.”
“Belin, ehm mi scusi, volevo dire concordo Carissimo,” Ma questo chi diavolo è in realtà? Una sorta di Stefano Bellotti della Val Graveglia? Non ci credo, questa gliela rubo. Ma chi l’avrebbe detto, va a finire che la sua Sciampagna, che poi vorrei capire che cavolo di uva è, sarà pure un buon vino. Comunque devo iniziare a raccogliere materiale per Io Bombolo, i miei fan aspettano. “Carissimo, la infastidisce se scatto qualche foto con il cellulare per alti scopi documentaristici?”
“No no, Avvocato ci mancherebbe.” Belin, effettivamente molti dei presenti in sala armeggiano con i cellulari. Mi comportassi così a casa mia moglie mi chiederebbe se va tutto bene. Comunque speriamo di riuscire a farmi autografare il libro.
La carta dei vini
Una delle curiosità che ho sempre avuto sull’Osteria Francescana riguarda la carta dei vini. Etichette, forma, stile, font… tutto quanto. Minimale sia stilisticamente che per le informazioni riportate, la bramata wine list, fruibile al ristorante in questo periodo tramite QR code, è composta da 88 pagine per un totale di circa 800 etichette. In dettaglio più di 150 grandi formati di tutte le principali tipologie, oltre 50 champagne, circa 20 spumanti italiani, intorno ai 150 bianchi, anche macerati, nazionali, e una cinquantina di vini d’oltralpe collocati davanti a qualche referenza dal resto del mondo. Per quanto riguarda i rossi le etichette italiane superano le 200 menzioni e sono seguite da poco meno di un centinaio di referenze francesi, tante “bombe”, accompagnate da ancora un po’ di resto del mondo, soprattutto Stati Uniti. Chiude una selezione di vini dolci “nostrani” accoppiati a una decina di Sauternes. La copertina riporta una frase di Enzo Ferrari “Se vuoi fare grandi cose, devi pensare in grande”, all’inizio non è presente alcuna presentazione didascalica preferendo partire subito con la proposta di vini al calice, circa 15 referenze prezzate tra i 15 e i 30 euro. Segue l’indice. La bottiglia meno cara è il Trebbiano D’Abruzzo 2010 del Castello di Semivicoli (30 euro) mentre la più preziosa risulta il Romanée Conti 2014 di Romanée Conti (14000 euro). Ti do ancora due indicazioni cosicché possa farti un’idea più completa: il Frappato 2016 di Arianna Occhipinti arriva in tavola per 90 euro, il Pigato Le Russeghine 2014 di Bruna per 60 euro. Le scelte interessanti e personali, non che dovessi dirtelo io, sono moltissime , diverse naturali (sparerei il 25-30% delle etichette, Triple A sugli scudi). Sono presenti varie verticali (Ribolla Gialla di Gravner, La Rocca di Pieropan, Le Pergole Torte di Montevertine ne sono un esempio) e… non posso mica raccontarti tutto! Vuoi sapere un segreto? Ho trovato alcune disattenzioni nella menzione dei vini e dei produttori tipo il Barolo Tre Tine 2015 di Giuseppe (ma Giuseppe chi? Rinaldi ovviamente) o il Vermentino Colli di Luna (che rispetto a Colli di Luni sicuramente giova di più alla poesia del terroir, ma non mi suona troppo corretto). Le suddette hanno comunque il merito di umanizzare quello che a ragione è considerato un luogo di culto. E comunque non credo siano d’impiccio all’esperienza di alcuno. Chiunque ami il vino, meno il portafoglio, può divertirsi, anche grazie all’assiomatico approccio del personale (segnati pure il nome di Emiliano Faoro Svaluto Moreolo). Ah, mi sarei aspettato una maggior profondità alla voce Nebbiolo, Barolo o no.
Carissimo, stanno arrivando in tavola i nostri appetizer, serviti contemporaneamente da due camerieri. Tra le altre facezie, questo tipo di servizio, quando ben eseguito, risulta sempre molto gradevole ed elegante. Finalmente si comincia a fare sul serio. Inter sidera versor (Mi sposto tra le stelle, per te che non hai fatto le scuole alte, altissime).
“…” Belin.
Fine della prima parte. Non mi uccidere, tanto trovi già la seconda e ultima parte del racconto qui.
Osteria Francescana
Via Stella, 22
41121 Modena (MO)
+39 059 223 3912
www.osteriafrancescana.it
Menu degustazione:
With a little help from my friends (12 corse), 290,00 euro
Piatti alla carta: 80,00/150,00 euro