Che bellezza da appassionato fare visita ai vigneron nelle loro cantine, interagire, degustare: il top di gamma, la base aziendale, assaggia la parcella, la boccia non etichettata, la vecchia annata, l’esperimento, domanda, risposta, i rumors che si riferiscono agli amici, l’essenza stessa del mondo-vino.
La fiera, ovvero contatto-altro con l’artigiano, minore tempo concesso, degustazione veloce, il tavolo a separare 2 mondi, io che faccio, tu che bevi, vini che giocano comunque fuori casa, in competizione con quelli di altri autori. Però un bel feeling alcoolico, maggior scambio tra fruitori, situazioni divertenti, più casino, good vibes only! Così, quando Nadir Cunéaz mi ha chiesto di poterlo sostituire in occasione del ventennale Arké a Bologna non ho esitato. Ero troppo curioso di capire cosa sarebbe successo! Dall’altra parte del banco, raccontare i suoi vini, il suo lavoro, menarmela un po’, vedere le facce dei clienti, io che cliente sarò per sempre!
Domenica 3 marzo parto alle 4 di mattina, allerta meteo concreta, valanghe in Valle d’Aosta, tanta neve. Ci sarà nebbia? No. Tanto che arrivo con largo anticipo a Bologna, caffè con Pierre e mi presento al Dumbo con Gabriele, mio caro amico e oste. Allestisco il banco e via, subito un birrone da 50 del supermercato con Mamo e Olek Bondonio, poi comincia a arrivare gente, sempre di più, tanto che sono costretto a chiedere a Gabri una mano qua e là.
I racconti sul vino si fanno ripetitivi, sempre più stringati, bisogna servire tanta gente, piccoli assaggi, anche uno io dai, gli ospiti al banco, giovani e diversamente giovani che sembrano soddisfatti, chiacchierano tra loro, qualche brindisi, commentano, alcuni hanno fretta, altri assumono un aplomb professionale, questo fa l’esperto e sa, questo fa l’esperto ma capisce poco, mi appassiono con tutti, anche se tanti, troppi sputano. Pratica che ritengo terribile, inguardabile, ancora di più se vista da questa parte, irrispettosa della fatica che riempie i bicchieri, soprattutto questi.
Il vino non è colluttorio! (Cit. Ilaria Bavastro)
Curioso di assaggiare la moltitudine di autoctoni, soprattutto rossi che popolano la mia terra? Sì. Il Vien de Nus, il Petit Rouge, il Fumin, la Crevassa, il Neyret. Il temuto Vuillermin. Le ricette di assemblaggio di Nadir, perché quella della Valle è storia di assemblaggio, storia di parcella, di autoconsumo, di barbatelle comprate in fiera o al mercato, insieme alle bestie. Te lo do io il monovitigno…
Alla gente il racconto piace, miglioro anche io, saranno i bicchieri che assaggio e vicino a me ho Stella del Filare, Terpin, Olek, Le More Bianche, Maurizio Donadi, Nathalie Héredia e suo marito Emile, di cui sono fan da tanti anni.
Alla sera sono cotto, poso la mia borsa Trainspotting in ostello e ritorno al Dumbo carico, con Gabri che ha 23 anni in meno di me. Ho fame ed è evidente che dopo 2 piatti di pasta e 2 birre del Birrificio Sorio sogno il letto. Ciao concerto dei Savana Funk, io rientro a piedi e svengo sul cuscino nel giro di un secondo.
Il flusso di appassionati continuerà pure il lunedì, riservato agli operatori. Ecco, gli operatori: forse meno pressanti rispetto ai degustatori della domenica, più rilassati, alcuni davvero preparati, si parla di vino, di tecniche, c’è meno gente, specifico sempre che non sono Nadir Cunéaz, ma un sostituto, i tempi al banco si allungano, si fanno affari, o almeno credo e spero, fatemelo poi sapere, alla salute!
Continuo a servire e a raccontare, poi a un certo punto passa Francesco Maule e mi dice che basta, la 2 giorni, la mia nemesi da vigneron, è giunta al termine. Gente ce n’è ancora!
Smonto il banco, saluto alcuni amici, tra cui Luca Saccomani, Jacopo di Podere San Biagio, Maurizio Donadi, Mamo e Olek, carico le poche bocce avanzate in macchina, torno a casa.
Ho cercato di essere me stesso, raccontando i vini e il lavoro di Nadir, mi sono divertito in un ruolo non mio, ci ho messo passione e allegria, la stessa che ho visto nei vigneron miei “colleghi”, la stessa che tante volte ho visto nei degustatori loro sì, miei colleghi. Ho toccato con mano l’idea secondo cui i gusti sono soggettivi, quello che non ti entusiasma diverte altri. Ripeterei certamente l’esperienza, e ovviamente ringrazio la Cunéaz family, ora allargata (ben arrivato Gaël!) e tutta Arké.
Difendo le rassegne, le fiere, forse sono troppe ok, sono un business, le regole di ingaggio in alcuni casi, ovviamente non in questo (e neppure nel caso della Vague!) sono vessatorie per i produttori, ma che bello lo scambio, la passione condivisa, l’entusiasmo, la gente, l’ebrezza alcoolica, il naso nel bicchiere, la mineralità e il frutto, le puttanate sparate per descrivere i vini, gli abbracci, i ciucchi, il primo bicchiere rotto, la scintilla che fa muovere il mondo meraviglioso di cui sono innamorato da anni. Il vino è un linguaggio, che lo si parli o lo si ascolti.
Alla prossima!
Nato ad Aosta nel Marzo del 1977, passo l’infanzia in skate. Poi snowboard, mountain-bike, trail… Musica, sempre, viaggi e contaminazione pure. Nel 2006 una Coulée de Serrant fa nascere in me l’amore per il Vino. Mi informo, assaggio, esploro, leggo e scrivo. Studio! Con ahimè pochissime occasioni di scambio e come sempre, senza indossare divise. Dal 2019 vendo la mia idea di Vino in Valle d’Aosta. Ma in fondo l’ho sempre fatto: raccontandolo agli amici, annoiando Francesca mia moglie, facendo scappare i miei figli, Bianca e Dante! Proprio la condivisione insieme alla natura del gusto, sono i cardini del mio approccio. Che è essenzialmente musicale, non necessariamente tecnico. Sicuramente emozionale e positivo. In una parola: hardcore!
Te lo do io il monovitigno… Ci farei un rap. 🤭
Evviva i mischioni di vigna,sempre più attuali di ‘sti tempi.
Condivido. Soprattutto quando associ mischione a vigna, perchè è tradizione!