Milano amata, Milano odiata. Chi arriva, chi fugge. Il design, la moda, l’avanguardia. Un irrefrenabile movimento, tutto diventa evento dove fa figo esserci, un’occasione continua per chi è affetto da FOMO (fear of missing out).
E noi due – piccoli ghiottoni di provincia – come due palline da ping pong impazzite in giro per la città, cerchiamo dei punti saldi, qualcosa di unico e non turistico, che sia una storica istituzione oppure una novità. L’importante è che sia buono. Anche se a volte inevitabilmente hype.
Per questo motivo abbiamo scelto di raccontare i luoghi e le persone che ci sono piaciuti maggiormente, dandoti degli spunti per organizzare la tua prossima gita all’insegna del bere e mangiare. Tanto!
Nel menù di questo primo episodio Trattoria della Gloria, Macelleria Popolare e… Riscalda le gambe, stringi la forchetta e andiamo!
Le cose ghiotte non passano mai inosservate a Milano. E siccome una delle tendenze contemporanee è andare a caccia di specialty coffee, più volgarmente detti “caffè artigianali”, se anche tu capitassi in città nel weekend, dovresti metterti pazientemente in fila in queste due caffetterie.
Clienti consapevoli o no, si tratta di fare una scelta comunque sostenibile che inizia dalla coltivazione di questo oro verde, passando attraverso una lenta e accurata lavorazione, fino ad ottenere il liquido caldo in tazza.
Facci caso, nei locali dove in primis le bevande sono scelte con serietà e passione, va da sé che anche il cibo sia dello stesso livello. Significa anche che il prezzo da pagare per una vera qualità sia più alto rispetto alle vecchie abitudini; per restare in tema, ci riferiamo all’amato espresso italiano, industriale e troppo bruciato, ma economico, dove in alcuni bar lo si può trovare ancora al costo di un solo euro. In posti sperduti ovviamente…
Una caffetteria a pochi passi da Corso Buenos Aires aperta nel 2016 dal canadese Brent Jopson, quando ancora si parlava poco dell’argomento “buon caffè”.
L’esterno è rivestito di grigio chiaro, che poi si mescola a strisce con il bianco sulle tende da sole. Le vetrate giocano da schienale delle panche in legno per sedersi all’aria aperta. L’arredo interno è minimalista con pareti chiare e legno caldo, dove dominano le linee rette. Idealmente molto rilassante.
Come immaginavamo dall’aspetto, il pain suisse si è rivelato favoloso: fuori una grossa sfoglia a righe sottili belle croccanti faceva da involucro a un mix di crema pasticcera e cioccolato. Insomma, divorata in 5 bocconi e seguita da un buon caffè monorigine di A.M.O.C. del quale perdonaci ma non ricordiamo la provenienza (3,00 euro).
Aperto nel 2021 dal pasticcere Stefano Ferraro e dal sommelier Lorenzo Cioli, entrambi con un ottimo curriculum in importanti locali fuori Italia, in primis il Noma di Copenhagen. Non a caso, l’arredamento ci ha ricordato molto la Danimarca.
In una giornata uggiosa di dicembre, abbiamo trovato conforto sedendoci all’interno, riscaldati da un buon caffè filtro Etiopia di April (euro 3/4,00), mordicchiando un cardamomo dall’impasto laminato e un cinnamon roll (euro 3,00) da leccarsi le dita. Nel vero senso della parola siccome era appiccicosissimo. Che goduta!
Non contenti, abbiamo provato anche la pizzetta coi pomodorini, tipo barese. Sopraffina… Ah, se arrivassi all’ora di pranzo, troverai certamente una piccola proposta di piatti e di vini artigianali. Yuppi!!
Si avvicina l’ora di pranzo.
Esiste una trattoria di quartiere dove si possa respirare una milanesità nostalgica, ma che sia al tempo stesso innovativa? La risposta è sì e con tale nomea per noi in città esiste solo la Trattoria della Gloria.
Catapultiamoci in una calda domenica di metà ottobre (2023), quando, a pochissime settimane dall’apertura, siamo corsi a curiosare in via Mario Pichi, a due passi dal caos dei navigli, con il vento caldo autunnale che scuoteva delicatamente le tende da sole color crema a righe verdi. Sul vetro il nome del locale brillava di oro e verde in caratteri vintage, mentre, accanto alla porta, un campanello in ottone riportava incisi 3 nomi: Luca, Tommaso, Rocco.
Tra poco scoprirai chi sono questi trentenni letterati (nel senso che hanno studiato tutti alla facoltà di Lettere) che – carichi di energia e già competenti in materia – hanno rilevato uno storico ristorante meneghino appena chiuso, facendolo rinascere con magnifiche connessioni.
Allora, torniamo al nostro momento idillico e riposizioniamoci sulla soglia, varcandola insieme.
In sottofondo “Ritornerai” di Bruno Lauzi, l’occhio subito catturato dai due pezzi di arredo protagonisti della sala: uno sgargiante bancone da bar e, per sfoggiare un po’ di francese, uno scenografico mange debout illuminato da un grande paralume in stoffa verde con frangette ocra recuperato dalla gestione precedente, accanto una parete trionfante di bottiglie.
Ah, qualora dimenticassi di prenotare, non strapparti i capelli: gli sgabelli che li circondano (e la panca esterna) sono destinati ai walk-in. Carino, no?
Pochi i tavoli, in legno, senza tovaglie e con un’apparecchiatura semplice, senza sfarzi. Nel mentre i raggi di sole che entrano dalle vetrate rendono tutto ancora più suggestivo.
È il vecchio che sarà progresso, ciò che tempo fa davamo per scontato – e ci aveva anche un po’ annoiato -, ma che adesso ricerchiamo, volendolo salvare, prima che si perda del tutto.
Alla Trattoria della Gloria l’atmosfera in cucina è scoppiettante e si parla francese!! Perché mai? Devi sapere che il cuoco/scrittore Tommaso Melilli vanta una carriera decennale nella ristorazione della Ville Lumière e anche il suo secondo, Roberto La Malfa, ha una formazione simile. Quindi lavorano parlando la lingua dei loro maestri.
In sala invece si avvicendano tra i tavoli Luca Gennati e Rocco Galasso. Esatto, proprio quei due tipi super gentili e preparati che lavoravano da Enoteca Naturale.
Infine si nasconde alla clientela un trio di soci investitori tra cui abbiamo ritrovato Margherita Bacci, dell’omonima macelleria di Montignoso (NdDiletta: nonché mia cugina!), che fornisce i salumi e di cui, quando ancora non ci conoscevamo, ti parlò in un bellissimo articolo Andrea (leggi di più qui!).
Ok ok, siccome abbiamo tutti un certo languorino, veniamo al sodo: il cibo. O preferisci dire foood con l’accento di queste parti? Ci vogliamo sentire in un mooood più cooool? No, via, torniamo seri. I piatti in menù possono variare giornalmente, l’offerta è ristretta e quindi rassicurante, sulla freschezza degli ingredienti nonché sulla riduzione degli sprechi. Le portate sono suddivise in antipasti, piatti principali, con uno/due speciali del giorno, e dolci, dove sono compresi i formaggi. Il risultato è una cucina da tipico bistrot d’Oltralpe, informale, con prezzi onesti e porzioni non esagerate.
Il nazional popolare minestrun qui è sempre presente (10,00 euro), ma in versioni diverse e a volte inaspettate, ad esempio freddo con un’aggiunta di aceto a renderlo saporito e dissetante o, quando siamo tornati a dicembre, fumante con la pasta mista. Normalissimo sì, eppure veramente appagante.
Una curiosità? La scritta Minestrone è tatuata sul braccio dello chef.
Come secondo ci ha ingolosito l’omelette alle erbe con salsa soubise (12,00 euro): cicciotta e bavosa, favolosa. Da non perdere poi il Tiramisù perduto (7,00 euro): pane vecchio (niente meno che di Davide Longoni) al posto dei biscotti e crema di mascarpone di un caseificio artigianale senza uova. C’est incroyable! Infine non potevamo che terminare con un piatto di Montébore (antico formaggio, che prende il nome dall’omonimo paesino piemontese, a latte crudo dalla tipica forma a torta nuziale, una rarità) e mostarda di chinotto (8,00 Euro).
Per quanto riguarda la questione vino, la scritta “Viva!” impressa sui calici è un invito costante a brindare scegliendo tra diverse etichette naturali non solo italiane o francesi. C’è da divertirsi insomma. La carta dei vini è impersonificata da Rocco, un oste sfavillante dai dettagli mai sobri a cui ci affidiamo sempre volentieri. In alternativa, puoi consultare per conto tuo la parete di cui sopra.
È grazie a lui che abbiamo assaggiato per la prima volta “Au chant de la Huppe” 2022 (assemblaggio di Gamay e Pinot noir dall’Auvergne) di Henri Chauvet… Avevamo chiesto a Rocco di farci provare un rosso francese leggero di facile beva, et voilà. Un risultato preciso, delicato, dai tannini eleganti che si presenta al naso con nuance di frutti di bosco e amarena.
Pane e acqua a diluire (2,00 euro). Uè, ma veramente? A Milano?! Sì.
Visto che l’abbiamo menzionato poc’anzi, ti portiamo a fare un giro anche da…
Enoteca Naturale è il wine bar nato in collaborazione con Emergency, proprio accanto alla loro sede, a cui è devoluta parte delle entrate.
Per entrare si passa attraverso l’ampio cortile antistante l’affascinante basilica di Sant’Eustorgio, decorata dai tipici mattoncini rossi dell’architettura romanica lombarda. Come avrai già immaginato, durante bella stagione i tavoli all’aperto sono presi d’assalto.
Il nome è già una promessa. Al grido di “Bere vino è giusto” disegnato grande su una parete, troverai un locale davvero ganzo, grazie a un team molto giovane e preparato.
Il menù è concentrato in poche portate e dalla cucina escono piatti sempre molto golosi e creativi, che variano spesso in base alla stagionalità e sono proposti in porzioni in stile tapas.
Intorno al grande bancone, le mensole abbondano di bottiglie ovviamente artigianali e naturali, italiane e straniere. Vini sinceri, vivi, nati da vigneron onesti che rispettano sia i lavoratori che l’ambiente per il benessere collettivo. Interessante l’angolo degli champagne dove si trovano anche produttori meno conosciuti, come Elise Bougy, giusto per fare un esempio.
Tra le varie etichette scoperte seguendo i consigli dei ragazzi in sala, il ricordo più impresso è del giurassiano Et.Au.Ro 2019 (Savagnin) di Domaine des Cavarodes, prendendo il nome dalle iniziali del trio speciale che ha creato questo progetto: Etienne Thiebaud (vignaiolo), Aurelien Lefort (disegnatore) e Roberto Brunetti (commerciante di vino). Una bevuta piacevole dalle sfumature minerali, erbacee e agrumate, con una leggera acidità volatile che non ci è dispiaciuta, anzi.
Inoltre sulle restanti pareti si alternano periodicamente opere in vendita. A noi è rimasta nel cuore l’esposizione Tanto 2023 di Tony Pignatelli, di cui ti lasciamo una foto leggermente hot.
E lo sapevi che esiste una sorellina chiamata Enoteca Frizzante che fa parte del collettivo alimentare Sidewalk Kitchens? Magari la prossima volta te la raccontiamo.
Bene, se il pomeriggio è troppo azzurro e lungo anche per te, andiamo a far merenda.
Una rivendita di carne “da pascolo” con cucina no-stop situata dentro al piccolo mercato coperto sulla darsena, a Porta Ticinese. Il menù è scritto a mano su lavagnette sospese sopra i nostri occhi bramanti. Puoi decidere se stare in piedi al bancone oppure sederti fuori “sul mare” – sì, sì, ci hanno detto davvero così – lasciandoci un po’ interdetti visto che la costa più vicina è solo a circa 150 km!
Abbiamo preferito sostare al bancone, incuriositi. Figurati poi quando abbiamo visto preparare senza sosta i piatti espressi, con lo staff che a turno ci allungava vari assaggi tra cui il diaframma di pecora alla griglia… La gola ha preso il sopravvento e ci siamo pappati di tutto. Un aggettivo per descrivere questa esperienza? Goduriosa.
Tra gli assaggi più buoni sicuramente la cervellina fritta (euro 14,00) e lo spiedino di coratella (euro 4,50 cad.)
Meriterebbe anche solo accomodarsi a osservare lo chef Giuseppe Zen che, con un’aria molto rilassata, serve piatti e vini al bancone chiacchierando con tutti i clienti senza perdere di vista la brigata alle sue spalle.
Quale macelleria d’Oltralpe ci ha ricordato come format? Oui, c’est facile: The Butcher of Paris, anche se in misura molto ridotta, soprattutto riguardo i vini.
Caspita, ci siamo dilungati ed è già ora di cena!! Prendiamo la metro per fare prima e scendiamo a Porta Venezia.
Bar à vin speciale in una zona che di sera diventa altamente caotica, ovvero dove girano tanti clienti disinteressati all’enogastronomia. Ma in questi anni l’oste Enricomaria Porta sembra averci fatto l’abitudine.
Qui su Enoplane.com gli era già stato dedicato un post (leggi di più qui!) poco dopo l’apertura e pertanto vorremmo aggiungere solo due righe, oltre a confermare quanto già scritto. Perché per noi è davvero un porto sicuro.
L’insegna esterna mette già le carte in tavola: “Vini scelti“. L’interno è un unico spazio accogliente e vivace tra le pareti verde bosco, il bancone da osteria, tavoli in legno piccoli e molto vicini – tipo bistrot – e il pavimento retrò a fiori geometrici disegnati dalle cementine esagonali rosse e nere. Sembra veramente di fare un salto nel passato, in una vecchia osteria tradizionale, senza fornelli e – soprattutto – fondata sul vino. Quello buono però.
Scritto a pennarello sulla grande lavagna accanto all’ingresso, il menù è libero: puoi pescare tra le diverse preparazioni, semplici e gustose, elencate senza il solito ordine antipasto/primo/secondo…, a piacere, con la sola certezza che la qualità delle materie prime provenienti dagli artigiani di tutto lo stivale sia davvero mirabolante.
Le nicchie sulle pareti sono la carta dei vini, ma interagendo con l’oste c’è anche di più… Tant’è che per stavolta non ti lasceremo alcun assaggio. Magari raccontaci i tuoi nei commenti. Ricordati solo che la prenotazione è vivamente consigliata e che la domenica si riposano.
Nati a Carrara nei primi anni 80, non siamo altro che due appassionati di vino a tempo pieno e lavoratori in tutt’altro settore nel tempo libero. E infatti spendiamo tutto ciò che guadagniamo in vino, viaggi e pezzi di Modernariato con la m maiuscola. Da quando poi il nostro girovagare si è concentrato su etichette artigianali e buona cucina, anche e soprattutto grazie alle persone incontrate, ogni esperienza è risultata indimenticabile, rendendo inutile, oltre che praticamente impossibile, realizzare una classifica dei nostri posti preferiti. Se da sempre, per condividerne emozioni e ricordi, scriviamo a penna, con grande piacere, piccole guide per gli amici, adesso è arrivato il momento di farlo virtualmente qui su Enoplane.com. Pronto a partire con noi?