Lunedì 23 Agosto, Felline (LE). Sono seduto in piazza Castello a uno dei tavoli di Vite Colta, l’enoteca con cucina dell’azienda agricola della famiglia Cesi, Dei Agre. Marta trotta tra i clienti con la stessa energia positiva che emanava camminando la sua amata vigna qualche ora prima. A quel punto la domanda scatta inevitabile: “Ma tra cantina e osteria quando ti riposi?” Sorride, sospira e non ha il tempo di rispondere, un altro tavolo richiede la sua presenza.
In realtà non ricordo come ci sono capitato. Se cercando una cantina “naturale” da visitare o un ristoro dalla cucina autentica salentina, meglio se con qualche bella bottiglia di vino in carta. Fatto sta che sono stato molto fortunato in entrambi i casi e a te che stai leggendo rimangono soltanto due possibilità: fidarti di me e segnarti subito sia il nome della cantina che quello dell’enoteca o continuare a leggere. Il risultato alla fine sarà comunque lo stesso.
Adesso però facciamo un passo indietro. Il Salento agricolo, a differenza di quello turistico, da alcuni anni non sta vivendo un gran momento. Nonostante le antichissime tradizioni (pensa che la coltivazione dell’olivo e della vite risalgono alla prima colonizzazione greca avvenuta tra il VII e il VIII secolo a.C.), come in altre regioni d’Italia, molti giovani, attratti dalle più disparate professioni, non hanno la minima intenzione di continuare a lavorarne le terre, molte delle quali giacciono in stato di abbandono. Questo trend è in parte causa dei frequenti incendi di cui potresti aver letto sui quotidiani e immaginerai quindi che se a tutto ciò, dal 2013, aggiungi le problematiche scaturite dalla comparsa della Xylella fastidiosa che ha colpito gli ulivi, il quadro generale non appare proprio positivo. E infatti nel raggiungere il punto d’incontro concordato con Marta ho incrociato diversi cartelli con su scritto un triste “TERRENO IN VENDITA”.
Eppure, fortunatamente, esistono ancora delle realtà dissidenti volte alla valorizzazione delle campagne salentine, al proseguimento della storia agricola di un territorio che ha molto da restituire a chi lo ama incondizionatamente. Come Marta Cesi, suo fratello Antonio e tutto il resto della famiglia. Da generazioni.
Dei Agre nasce infatti nel 2001 per preservare l’eredità morale e contadina dei nonni materni, a cui peraltro è dedicata la cantina, su due ettari e mezzo di Negroamaro e Primitivo, allevati ad alberello (l’unica forma di allevamento della vite che Marta ritiene “autoctona” e da valorizzare in Salento) e lasciati in eredità ai nipoti che, quasi all’inizio della nuova avventura agricola, agganciano Fausto Maculan, desideroso di un progetto nel Sud Italia, e iniziano a collaborarci vinificando le uve a “casa sua”, nel vicentino.
Il primo anno è un disastro, il vino non è buono, eppure decidono di tentare anche l’anno dopo. E hanno ragione, sai: aggiustato il tiro, il secondo tentativo dà i risultati sperati e a quel punto viene da se proseguire il progetto assieme.
Passato qualche anno arrivano le prime soddisfazioni, cionostante la famiglia Cesi sente che manca ancora qualcosa all’ideale di produrre vino che ha immaginato e decide di correre da sola, convertendo nel 2005 l’azienda in naturale. Per dei giovani di trent’anni la sfida che gli si para davanti non è poca cosa, soprattutto se senza la minima intenzione di cedere alle facili tentazioni di etichette alla moda e vini funky. Ma tanto la strada oramai è segnata.
Nel corso della visita Marta mi racconta che faticano a etichettarsi. In vigna, attingono da ciascuna delle diverse scuole agronomiche, mettendo in simbiosi la biologica, la biodinamica e quella organico-rigenerativa. Ovviamente anche in cantina, tra cemento, acciao e un po’ di legno per le riserve, la musica non cambia: è l’uva che comanda, perennemente in un’ottica meno interventista possibile.
Anche adesso che gli ettari sono diventati 6, producono un rosato e tre rossi, sempre da uve Negoramaro e Primitvo, ai quali, quando l’annata non è delle migliori, si unisce un vino da pasto, semplice e beverino.
Poco tempo fa acquistano inoltre un terreno su cui decidono di piantare uve bianche, nello specifico Bianco d’Alessano (la base della DOC Locorotondo), Malvasia Bianca di Lecce e Verdeca (un’uva che a livello teorico è buona solo per i grandi numeri, ma che nella realtà li ha emozionati nella versione macerata prodotta da Tenuta Macchiarola. Da quel Domenico Mangione da cui Marta spera di “andare a far un po’ di scuola”), con le quali inizieranno a sperimentare non appena la natura glielo concederà.
Tra le altre cose, Marta mi confida che stanno meditando di abbandonare del tutto il legno, ritenendo che le vecchie viti di cui dispongono abbiano già tutto per regalare grandi vini da invecchiamento. Andare a complicarsi la vita con le botti, rischiando peraltro che la microssigenzione innalzi le volatili, anche in una chiave di verità gustativa del vino, non le va proprio a genio. Più che un pensiero, la sua mi sembra una sentenza, quindi: Vale vale signor Legno.
Al crepuscolo in vigna si sta dannatamente bene. L’aria sa di mare e in quel lembo di terra che divide l’Adriatico dallo Jonio, in piena pianura, i venti provenienti da ogni direzione, non trovando alcun ostacolo, se non bassi rilievi denominati “Serre”, mi rinfrescano la faccia. Sulla luce solare che contraddistingue il Salento e viene assorbita dalla vite dall’alba al tramonto poi non credo di dover spiegare alcunché. Insomma, mi trovavo in un piccolo paradiso agricolo che non può far altro che marcare i suoi vini con la propria bellezza, termine che questa volta puoi anche tradurre in sapidità, struttura, sorso…
E infatti, arrivata l’ora di cena, non vedevo l’ora di assaggiarne i frutti. Per quanto riguarda la cucina invece non sapevo cosa aspettarmi.
Magredé 2019, Dei Agre
Praticamente il Racimolo elevato alla massima potenza. Un Negroamaro in purezza che nelle migliori annate passa anche due anni in botte con l’obbiettivo di valorizzare le note speziate varietali.
Prezzo in enoteca: 21,00 euro
Racimolo 2017, Dei Agre
Un Negramaro che assorbe tutta la mineralità del suolo argilloso e i profumi della campagna salentina.
Prende nome dal termine con il quale in botanica si indica il fiore della vite.
Prezzo in enoteca: 15,00 euro
Lunatico 2019, Dei Agre
Un Primitivo elegante, giustamente alcolico, mai stucchevole. Finemente caratterizzato dalla coltivazione ad alberello su terreni alluvionali dette “Vignali”, è stato battezzato “Lunatico” perché ogni anno appare diverso.
Prezzo in enoteca: 15,00 euro
“Sì ok, ma dell’enoteca con cucina autentica salentina non mi racconti niente?” Certo, ma dovrai portar pazienza sino alla settimana prossima. Conosci già la mia proverbiale lentezza nel postare e poi avere tutto e subito nella vita non fa mica bene, fidati. Se poi anche tu auspichi un ritorno dei giovani all’agricoltura, ancora di più. A presto.
Dei Agre
Piazza Castello,14
73040 Felline (LE)
+39 0833.985241
+39 3487792184
info@deiagre.it
La foto utilizzata come base della copertina l’ho reperita su internet qui…