Una congiunzione in astronomia è un raro fenomeno che si verifica quando almeno due astri “visti dalla terra” sono allineati su una retta immaginaria; quando il più lontano da noi è il Sole, la visibilità del più vicino diventa massima originando spettacoli celesti.
Gli studiosi del cielo riescono a prevedere alcuni di questi fenomeni con decenni d’anticipo (per esempio sappiamo già che nel luglio 2060 ci sarà una rarissima grande congiunzione).
Quello che però gli esperti non sono riusciti a prevedere è lo strano fenomeno che si è verificato la notte del 3 gennaio 2015 a casa mia.
Facciamo un passo indietro. Negli ultimi mesi del 2014 ho assaggiato diversi Barolo e maturato la convinzione che sempre più produttori, a prescindere dalle solite distinzioni di schieramento, propongano vini che fin da subito hanno un loro equilibrio, a volte magri e quasi mai spigolosi, bottiglie che escono dalle cantine già praticamente pronte per essere bevute (ciò non vuol necessariamente dire che non migliorino o non durino nel tempo…).
Il mito del Barolo quasi imbevibile da giovane, da attendere anni e ancora anni, sembra solo una chimera da inseguire, un fuoco che si sta spegnendo bagnato da tannini addomesticati e acidità più che amalgamate.
Eppure, non chiedermi perché, ma in certe situazioni ho voglia del contrario, di un grande vino giovane che mi invada il palato con le sue durezze, di severità che si rincorrono nella mia bocca senza abbandonarmi per molto più di un istante. Insomma, un po’ di sana austerità!
Inoltre è appena iniziato il nuovo anno e, complici alcune vicissitudini personali, questo inverno non sono ancora riuscito ad andare a mangiare il bollito misto a Carrù.
Devi sapere che ogni anno, appena arriva il freddo, mi si accende una luce: mi viene voglia di bollito e di bagna càuda.
Anzi, non è vero! Stavo mentendo, perdonami… di bagna càuda e bollito ne ho voglia tutto l’anno ma in questo periodo il languore si fa più forte, incontrollabile.
La bagna càuda me la son pappata la vigilia di Natale (la ricetta di mia nonna Renata non tradisce mai), ma il bollito no. Sigh!
2 gennaio 2015. Sto lavorando quando trilla il cellulare. Un whatsapp.
“L’Articiocca fa il bollito misto d’asporto! Che facciamo?”
Gastronomie/rosticcerie mi suscitano appetito in quantità inversamente proporzionale alla dimensione delle loro vetrine. La maggior parte di questi esercizi propone infatti un’infinità di cibarie infischiandosene di stagionalità, territorialità… dando l’idea di volerti accalappiare più con l’opulenza che con la qualità dell’offerta.
L’Articiocca invece, per quanto ho potuto constatare con i miei assaggi, no.
Io, ridendo nervosamente: “Chiama, informati sulla cosa e prenotane un po’. Un po’ tanto.”
Poco dopo ho appreso che domani sera, alle 6, avrei ritirato 4 porzioni di bollito misto, un cavagno con il brodo per scaldarlo (e magari dopo affogarci due raviolini) e 5 salse, sale grosso e mostarda ce li ho messi io.
A quel punto ho iniziato a salivare copiosamente.
Il giorno dopo, entrato in “trance agonistica”, ho iniziato a pensare a cosa stappare con il bollito. Per ovvie ragioni la famosa voglia di Barolo giovane e austero si è subito insediata in me, questa volta accompagnata dall’incertezza di una buona scelta che potesse farmi ascendere al Nirvana.
Non ci ho messo molto a identificare un oggetto del desiderio: il Barolo Paiagallo di Giovanni Canonica.
Di questo produttore, nonostante non si trovi su praticamente nessuna guida (giusto su “Guida al vino critico” di Officina Enoica), me ne hanno già parlato in tanti, ma non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo o assaggiarne i vini.
Inoltre mi è rimasta in testa la chiusura di un post di Mauro Mattei: “Barolo Paiagallo ’05 prodotto ed imbottigliato da Giovanni Canonica. Introvabile in Italia, se vi capita compratelo in Giappone.” Ecco, già m’immaginavo un ”Plonto, buongiolno, chiamo pel balolo…”… sì, vabbeh! Konnichiwa.
Non ridere, è un problema serio. Ma so come risolverlo.
Omar, il titolare dell’enoteca U Fundu (NdEnoplane: dopo diversi anni di lavoro e divertimento, l’enoteca ha chiuso poco tempo fa), è uno sbicchieratore seriale senza paura (sì, proprio quella che ormai accompagna tanti dei nostri enotecari di fiducia): Bressan, Gaja, Cascina Roccalini, Dettori… tutti sbicchierati.
Ha poi una strana caratteristica: la veggenza.
Hai appena finito di leggere “Elogio all’invecchiamento” di Andrea Scanzi e ti è venuta voglia di assaggiare un vino di Flavio Roddolo? Accomodati.
Hai divorato “La vigna, il vino e la biodinamica” di Nicolas Joly e non puoi più vivere senza una sua bottiglia? Prego.
Ti hanno convinto che da un po’ di anni i migliori tagli bordolesi d’Italia sono fatti al nord e stasera vuoi regalarti una verticale di San Leonardo? Ben arrivato.
Insomma, varcata la soglia di U Fundu, subito lo vedo lì, Barolo DOCG Paiagallo 2010 di Giovanni Canonica. Missione compiuta.
Qualche ora dopo sono tornato a casa. Ho portato il vino alla giusta temperatura e l’ho stappato. Ho controllato il tappo e finito di apparecchiare.
Quello che gli studiosi non avrebbero potuto sapere è che, nella mia piccola cucina, questa sera si è verificata una splendida, grande congiunzione, astrale o no.
Barolo DOCG Paiagallo 2010 di Giovanni Canonica
Il Barolo DOCG Paiagallo 2010 di Giovanni Canonica nasce senza l’ausilio di diserbo o prodotti di sintesi a Barolo, da circa un ettaro e mezzo di vigna inerbita (tra i 300 e i 400 mt sul livello del mare) in Paiagallo, anche detto Pelagallo, un cru di circa 8 ettari che grazie al riparo fornito dalla piccola scarpata che scende dalla strada provinciale per Novello presenta un microclima molto favorevole alla coltivazione del Nebbiolo.
La vinificazione, tradizionale, è svolta con lieviti indigeni, senza alcun additivo né controllo della temperatura. Il vino affina in botti di rovere di Slavonia da 20 ettolitri.
L’annata 2010, rispetto alle precedenti, ha visto temperature più miti nei mesi di luglio e agosto, ma il buon andamento di settembre, caratterizzato da un aumento delle temperature giornaliere e da un’ottima escursione termica tra il giorno e la notte, ha permesso al Nebbiolo di regalare un grande raccolto.
In ogni fase dell’assaggio dimostra grande energia. Al naso richiama l’uva e il terroir in modo pulito. La speziatura è sottile, pungente. Effluvia di viola e sottobosco mentre in bocca è stupendamente giovane, senza vergognarsene. Non ci si stanca mai di berlo. Buona la persistenza.
Nel giro di qualche anno diverrà straordinario, spaziale.
Le fotografie della vigna in Paiagallo sono state scelte e fornite dal produttore
Nato a Genova non troppi anni fa (più o meno), passo l’adolescenza a chiedermi perché abbia sempre preferito un raviolo cotto sulla stufa a un’exogino, o ancora cosa mi avesse spinto, ancora infante, a scolarmi tutti i fondi di Moscato d’Asti lasciati incustoditi dagli adulti, dopo il brindisi di capodanno, incappando nella mia prima ciucca. Intanto, diventato prima Sommelier Professionista AIS e poi Assaggiatore ONAF, dopo svariate esperienze nel mondo della ristorazione, tra cui il servizio dei vini al ristorante “La Terrazza” del Belmond Hotel Splendido a Portofino, dall’ottobre del 2016 sono entrato a far parte dell’Elenco regionale degli Esperti Degustatori dei Vini D.O.C. presso la Camera di Commercio di Genova per poi bla bla bla… Perdonami, mi sto annoiando da solo. Beh, ti prego di mantenere il segreto, ma sappi che ancora oggi, nonostante sospetti sia colpa degli uomini della mia famiglia, del nonno paterno, commerciante di vino in giro per il nord Italia, di quello materno, agricoltore, combattente e scrittore, e di mio padre, agronomo mancato con il tocco per la fotografia (che io non ho), continuo a chiedermelo qui su Enoplane.com.