In questo articolo, oltre che parlarti di un gran vino sardo, vorrei farti fare un veloce salto all’interno della cultura enologica millenaria della mia terra. Ci tengo particolarmente perché sono aspetti poco conosciuti siccome poco trattati.
Dalle tante scoperte presso gli scavi nuragici si evince che in Sardegna la coltivazione della vite era già presente dala media Età del Bronzo e ciò posiziona l’isola come centro secondario di domesticazione della vite. Il recupero più importante è quello realizzato all’interno del complesso nuragico di Sa Osa, nel comune di Cabras, dove all’interno di 5 pozzi sono stati ritrovati diversi semi di uva coltivata risalenti appunto all’Età del Bronzo. Questo sta a significare che la viticoltura era già praticata dalla civiltà nuragica e non fu quindi portata in Sardegna dai greci (se ne vuoi sapere di più ti consiglio un bellissimo articolo scritto da Alessandro Brizi che puoi trovare, anche online, sulla rivista ufficiale ONAV L’Assaggiatore nel n°16 – 2019).
Un altro ritrovamento importante è sicuramente quello avvenuto nel comune di Orroli, tra il Nuraghe Arrubiu e la Tomba della Spada, area nella quale all’interno di alcuni vasi sono state trovate tracce di vino bianco risalenti alla tarda Età del Bronzo.
E perciò adesso rimaniamo nel comune di Orroli, ma tornando ai giorni nostri. Sì, perché a tenere viva la tradizione vitivinicola ci pensano Marco e Michele Schirru, che nel 2015 hanno dato vita all’Azienda Agricola Schirru.
La sfida dei due fratelli è quella di produrre vini di qualità in una zona lontana dai riflettori dell’enologia sarda. Anche se nel Sarcidano, subregione storica della Sardegna, il vino è sempre stato una questione seria, prodotto perlopiù per il consumo familiare e/o per la vendita dello sfuso. Tant’è vero che la famiglia Schirru ha sempre praticato la viticoltura, seppur in maniera amatoriale, fino a quando Michele e Marco non hanno deciso di lanciarsi in questa avventura.
Il vino di cui ti voglio parlare è proprio il loro modo di rappresentare il territorio, a partire già dal nome. Difatti “Arrogusu” vuol dire “pezzi” e sta a rappresentare la parcellizzazione, a volte anche estrema, dei vigneti della zona.
Le uve destinate a quest’etichetta arrivano da due vigneti storici allevati ovviamente ad alberello basso, mentre i vigneti sono quelli di Arroddu, di oltre 60 anni, e di Senussi, di 118 anni. Tra l’altro sono due vigne stupende che ti consiglio vivamente di visitare se capiterai in Sardegna.
Su questi terreni scistosi sono piantate tantissime varietà che concorrono tutte alla creazione di questo vino. La maggior parte, circa l’80%, è Monica mentre il resto del mosaico dei vitigni è composto da Cannonau e Bovale, Barbera Sarda e Tintillu (o Niedda Manna), Niedda Carta e Girò. Le piante sono trattate solo con rame, zolfo e zeolite e ovviamente tutte le pratiche sono manuali, anche perché difficilmente si riuscirebbe a utilizzare macchinari tra gli alberelli.
Le uve, dopo la vendemmia, vengono vinificate separatamente e così percorrono tutto il loro viaggio tra acciaio, legno e terracotta. Finalmente si incontrano prima di andare in bottiglia, almeno un anno dopo la vendemmia. Non credo di doverti dire che le fermentazioni sono spontanee o che nessuna pratica invasiva è utilizzata in cantina.
Ora sono sicuro che vorrai finalmente sapere com’è questo Arrogusu 2020 dell’Azienda Agricola Schirru.
L’Arrogusu 2020 (prezzo in enoteca: circa 24,00 €) è un vino che affonda le sue radici nella tradizione del territorio, ma risulta comunque un vino moderno. Questo perché unisce struttura e profondità a un sorso slanciato e soprattutto a una bellissima beva. Un rosso ricco e di grande carattere che non potrà che migliorare ancora nel tempo. Poi la cosa che più mi è piaciuta è che il vino non cerca di nascondere il suo animo contadino, anzi lo mostra con fierezza, rendendolo ancor più intrigante.
E tu? Hai mai assaggiato un vino dell’Azienda Agricola Schirru?
Very interesting
Sono molto bravi i ragazzi. Molto buona anche la nuova annata, provala se ti capita!!