Nonostante oramai siano diversi anni che la passione per il vino mi spinge a girovagare per vigneti e cantine, questa volta mi è stato subito chiaro di aver commesso un’errore. E va bene che anche Plinio il Vecchio, nel I° secolo dopo Cristo, dei Colli Bolognesi non ci aveva capito granché (nel capitolo “Ego sum pinus laeto” della “Naturalis historia” scriveva che in “apicis collibus bononiensis” si produceva un vino biondo e frizzante molto particolare ma non abbastanza dolce per essere piacevole ai latini), eppure l’esser dovuto scappare per pranzo dopo neanche un paio d’ore, quando ero comodamente seduto a conversare con Antonio Ognibene, il deus ex machina di Gradizzolo, e Jacopo Stigliano sui loro vini e più in generale sul loro territorio, non posso far altro che definirlo un errore. Doppiamente grave siccome non sapevo che Gradizzolo fosse anche un agriturismo dove molto probabilmente, se trattano gli ospiti come trattano l’uva, si assaggerà una splendida cucina tradizionale bolognese. Sigh.

Per questo stesso motivo, non possedendo la solita sfilza di materiale, il post sarà molto breve e infatti arriverò subito al punto: nonostante gli insegnamenti dei tanti corsi da sommelier (Non è una zona da grandi vini rossi, ma, per esempio, la tipologia Riserva del Cabernet… – Il vino Italiano, AIS) i Colli Colognesi, oltre ad avermi tolto il fiato a colpi di scorci incontaminati, possono regalare grandi, grandissimi rossi, segnati da una spiccata sapidità, assai piacevole e connotante.

Tra un cubetto di mortadella e una battuta dei presenti, tutto ciò mi è stato chiaro già all’assaggio dei vini, soprattutto dinanzi ai Negretto, o Negrettino, 2019 e 2013 di Gradizzolo. E successivamente ne ho pure avuto la riconferma sottoponendo alla cieca ad alcuni amici i rossi acquistati quel giorno in cantina. Su tutti il Lauv 2018 di Stigliano e ancora il Negrettino 2019 di Gradizzolo (in aggiunta alle fotografie, trovi alcune note sui due vini in fondo al post).

Cosa? Ma i Colli Bolognesi non sono la patria del Pignoletto? Sì è vero, ma di quello spero di parlartene in futuro. Tanto la fuga forzata non mi è ancora andata giù e voglio tornarci a mangiare, ehm salutare per approfondire la questione.

Nel caso adesso fossi rimasto un po’ spaesato e ti stessi chiedendo chi sono Antonio Ognibene e Jacopo Stigliano, eccoti una breve biografia di due uomini che per me rappresentano la memoria, il presente e il futuro dei Colli Bolognesi

Presentatomi con raziocinio, a causa delle sue 50 vendemmie, come la “testimonianza enologica” della zona, Antonio guida l’azienda agricola di famiglia, nata a Monteveglio agli inizi dello scorso secolo, dal 1973, oggi affiancato in vigna come in cantina dal figlio Gianluca, mentre a mandare avanti la cucina dell’agriturismo pensano la moglie Marisa e la figlia Chiara. Dai 6/7 ettari di vigna, condotti in biodinamica da prima che diventasse una moda, soleggiati e scoscesi (a volte osservando certe pendenze mi ritrovo a pensare che noi liguri ci lamentiamo un po’ troppo…), in cui trovano spazio le principali varietà autoctone della zona (Pignoletto, Alionza, Negrettino, Barbera…), tira fuori circa 25000 bottiglie che raccontano la storia del territorio, portandone avanti l’autentica dimensione contadina quanto rispettandone la vocazione. Insomma, nel caso tu voglia comprendere davvero i Colli Bolognesi, devi per forza andarlo a trovare.

Nato e cresciuto sui colli, Jacopo, classe 1986, una volta laureatosi in Storia e Cultura dell’Alimentazione, comincia a lavorare nel mondo del vino come sommelier per poi passare dall’altra parte della barricata, quella produttiva, collezionando in breve tempo diverse significative esperienze: Vittorio Graziano, Podere Pradarolo, Aurora, Stefano Amerighi nel progetto Noè… A quel punto decide di correre da solo, torna a casa e individua un ettaro (adesso sono poco meno di 3) di vigna abbandonata, popolata da una quindicina abbondante di varietà maritate a piante e alberi da frutto che risalgono agli anni 20. Quasi più un bosco che una vigna, insomma una vera sfida dalla quale non si tira indietro. Tanto è vero che, dopo un primo anno passato più a fare il “boscaiolo” che il viticoltore, nel 2018, vinificando in cantina da Antonio, inizia la produzione dei suoi vini, un bianco e due rossi da vinificazioni congiunte, con ben chiaro in testa il fine di raccontare il territorio attraverso la commistione naturale della biodiversità da lui riscoperta e protetta.

Ecco, io, per questa volta, avrei terminato e tu devi solo stare attento a non commettere il mio stesso errore quando andrai a trovarli.  Tanto so che lo farai. A presto.

 

Negrettino “Naigartèn” 2019 Emilia IGT di Gradizzolo (prezzo in enoteca: 13,00 euro)

Antonio Ognibene (Gradizzolo) Negrettino

Il Negretto, o Negrettino, prende il nome dal termine con il quale in zona, nel passato, venivano indicate le uve dagli acini particolarmente scuri ed è uno tra gli autoctoni dell’Emilia Romagna meno conosciuti nonostante nel periodo post-fillosserico rappresentasse, grazie alla tolleranza nei confronti dell’oidio, circa il 60% del vigneto dei Colli Bolognesi.
Ma allora perché era quasi sparito? Perché ai tempi ritenuto troppo scontroso e non adatto alla vinificazione in purezza.
E meno male che ci ha pensato Antonio a smontare questa credenza… Il suo Naigartén ha bella struttura, tra il rustico (in accezione positiva) e l’elegante. Il naso è piacevolmente speziato, balsamico da tannino, austero. In bocca si presenta sapido e allappante, dimostrando di avere la cifra per invecchiare come si deve. Semplicemente buono, perché sarà anche un po’ il caso di ritornare a parlare come si mangia.

 

Vino Rosso “Lauv” 2018 di Jacopo Stigliano (prezzo in enoteca: 15,00 euro)

Jacopo Stigliano Lauv 2018

Il Lauv, lupo in dialetto bolognese, è un vino rosso che cammina fiero sul confine situato tra natura e civiltà, dove il caos selvaggio si fonde alla ragione. Proviene dal primo vigneto ad alberata recuperato da Jacopo e infatti nasce da 7/8 uve rosse autoctone, identificate con l’aiuto di una squadra di “avventurieri” mica da ridere, ovvero Antonio Ognibene, Giorgio Erioli e Vittorio Graziano: Barbera, Sangiovese, Negrettino, vari tipi di Lambrusco (soprattutto Grasparossa), Uva Tosca…
Dopo essere stato ingabbiato per 12 mesi in legno grande, si rintana pochi mesi in acciaio a leccarsi le ferite. Uscito nel bicchiere è subito pronto per la caccia, dimostrandosi un vino di polpa, carico e dalle nuance oscure, tenebrose. Ovviamente sapido ed emozionante, a causa di un’annata difficile risulta essere più docile, meno graffiante di quanto il suo essere bestia lasci presagire. Difatti non vedo l’ora di avvistare il 2019 (non sono impazzito, è solo per cambiare un po’).

 

Agriturismo Gradizzolo
Via Invernata, 2
40050
Monteveglio (BO)
+39 331 730 0553
wwww.gradizzolo.it

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