Lasciandoci alle spalle Gravina in Puglia e dirigendoci verso Potenza il paesaggio cambia notevolmente. È un lungo saliscendi di confine in cui terra arsa, grano e cielo azzurro si alternano. Nuvole bianche, pochi insediamenti. Della Basilicata ho un’idea di spazi vasti e assenze, un non-luogo in cui restare mentalmente con le braccia aperte a prendermi vento sulla faccia.
A questa immagine aggiungerei il coup de foudre paesaggistico e umano successivo al film Basilicata Coast to Coast!
Ora la terra sale e sotto di essa dorme un vulcano spento, in cui i lapilli di tufo regolano e regalano una fertilità misurata al benessere dell’uva regina di questo scenario: l’Aglianico.
Con la famiglia arrivo a Rapolla per fare visita a Antonio Cascarano, il vigneron che di questo territorio è Camerlengo.
La cantina è all’ingresso in salita del paese, una stanza profonda scavata nel tufo, inizialmente luminosa, via via più scura e rocciosa. Quasi fosse un assaggio architettonico di ciò che ci aspetterà nei giorni successivi a Matera.
Ci sono dei grandi vasi troncoconici in castagno, bellissimi, in cui avviene la vinificazione e l’affinamento dell’Aglianico.
“È un legno che rispetta l’uva, a differenza del rovere ha un carattere mite che si attenua ulteriormente con il passare degli anni. Inoltre è autoctono“, racconta Antonio.
Se nella versione “village”, l’Antelio, il vino fermenta e affina interamente nel castagno prima di essere imbottigliato, nel cru Camerlengo, una vigna quarantenne a 600 metri s.l.m. il successivo passaggio in botte di rovere grande e mai sostituita, crea una diversa prospettiva per la lettura di un territorio complesso e stratificato, in cui il tufo si sostituisce in altitudine al calcare.
Facciamo così un primo assaggio dalle botti in cui riposano i vari millesimi del Camerlengo.
Apro una parentesi: amo degustare i vini in cantina, mi piacciono la temperatura e l’umidità in cui mi vengono serviti e a cui il mio spirito è esposto durante la degustazione. Indipendentemente dalla stagione, mi sembra di entrare ancora di più in contatto con l’intimità del vino, come se fossi realmente suo ospite.
Comunque, ti stavo dicendo.. Le terre nere su cui crescono le piante di Aglianico donano ai vini un profilo magro, asciutto e pronto. 2020 e 2021 rispondono specularmente all’assaggio: se nel primo è il frutto, la sua rotondità, e a mio avviso una maggiore interazione col castagno, nel secondo è la spezia, la cenere, unita a una bella spinta a dirigere la degustazione. Vino aereo, dal tannino lungo, fine e salato, mi riporta serenamente a certi paesaggi langaroli. Il 2022 è invece fresco e giocoso se paragonato alle allure degli altri 2 millesimi. Vino simmetrico al 2020 in cui è il rovere a doversi ancora integrare al vino. È giovane, si farà!
Nel frattempo Dante e Bianca continuano a esplorare la cantina di Antonio come fossero speleologi e lasciando traccia del loro passaggio su di un tavolo da lavoro, decorato da Bianca!
C’è una scala a chiocciola in ferro battuto che sale a un livello superiore della crôta in cui sorge al centro un tavolo rotondo, imbandito di ogni bene di Dio: focacce, pizze, mozzarelle, caciocavallo podolico, salsicce piccanti. L’atmosfera qui sopra è unica: la luce soffusa, le pareti vive della cantina, i magnum a ornare gli spazi e in ultimo il “trono” su cui siede Antonio danno al soppalco un’atmosfera decisamente medievale. Una figata insomma.
Saliamo con un Jinette 2022, il rifermentato di Santa Sofia e Cinguli, due uve bianche locali in cui la prima porta aroma al vino, la seconda tensione. Anche in questo caso degustiamo a temperatura ambiente e non possiamo che godere dell’anima floreale e salina di questo pétillant. “Le uve bianche armonizzano meglio a quote inferiori rispetto a quelle rosse rosse, che amano invece l’altitudine: questo è dovuto a una maggiore concentrazione di calcare e pietre bianche alla base del Vulture“.
Juiell (in questo caso 2019) è il rosato di Aglianico di Antonio. È sempre una certezza, dotato di una vitalità incredibile, bevibilissimo. C’è una certa sensazione marina, salmastra che si mescola al mandarino, al melograno. È un vino che farebbe arrossire di invidia diversi vini nordici, hypster, francesi. Uve torchiate e fermentate in barrique esauste, successivamente affinate in botte grande. Sostanza. Te la do io la carbonica!
Mentre qui in Valle d’Aosta, rientrato dalle ferie, mi metto a ultimare il cartone di prodotti tipici da spedire a Rapolla, ripenso alla grande accoglienza riservataci. La tavola imbandita, la serenità con cui ero invitato a servirmi quante volte volessi dalle botti. Allo stesso modo ho scelto io cosa bere, perché Antonio voleva così. La bottiglia in regalo. Il vino buonissimo. Ecco il significato della parola accoglienza!
L’idea – e già se ne era parlato per questo anno – sarebbe quella di averti ospite in Valle d’Aosta per la Vague 2025. Questa montagna, il Vulture, deve essere raccontata in prima persona pure in Valle d’Aosta. Da colui che di questa terra di spazi e assenze ne è custode, Camerlengo.
Antonio Cascarano, Camerlengo dell’Aglianico.
Azienda agricola Camerlengo
Via dei tigli
85027 Rapolla (PZ)
+39 335 251 885
Website
Nato ad Aosta nel Marzo del 1977, passo l’infanzia in skate. Poi snowboard, mountain-bike, trail… Musica, sempre, viaggi e contaminazione pure. Nel 2006 una Coulée de Serrant fa nascere in me l’amore per il Vino. Mi informo, assaggio, esploro, leggo e scrivo. Studio! Con ahimè pochissime occasioni di scambio e come sempre, senza indossare divise. Dal 2019 vendo la mia idea di Vino in Valle d’Aosta. Ma in fondo l’ho sempre fatto: raccontandolo agli amici, annoiando Francesca mia moglie, facendo scappare i miei figli, Bianca e Dante! Proprio la condivisione insieme alla natura del gusto, sono i cardini del mio approccio. Che è essenzialmente musicale, non necessariamente tecnico. Sicuramente emozionale e positivo. In una parola: hardcore!