Il vino può annoiare? Detto da me potrebbe farti sorridere, ma, anche se la ritengo una possibilità alquanto improbabile, data la complessità intrinseca nell’amato “liquido odoroso”, a chi ci lavora da anni, che sia esso un sommelier, un venditore o addirittura un produttore, penso possa capitare.
A me per esempio, fortunatamente in modo passeggero, capitò durante una paio di anni di lavoro come sommelier in un rinomato albergo. Per carità, non è che smise di piacermi, eppure mi resi conto di non avere più troppa voglia di passare il giorno libero a visitar cantine o esperienze del genere.
Ecco perché, a volte, a prescindere da quanto grande sia la tua passione e da come viva la tua quotidianità, ti consiglio vivamente di provare ad allargare i tuoi orizzonti, anche enoici, magari cercando di assaggiare qualcosa di diverso da ciò che sai già di amare, anche mettendo per un attimo da parte la sostenibilità del tutto, economica e logistica.
Perché questo pippone? Intanto perché ti voglio bene e mi preoccupo per te. Sai, leggi Enoplane.com… E poi perché poche sere fa, nonostante la mia non altissima e pertanto stupida considerazione attuale dei vini neozelandesi – lasciando pure perdere i “muscolosi” convenzionali, nella terra della Haka non sono ancora riuscito a trovare un vino che mi abbia davvero emozionato staccandosi dai cliché oceanici – ho stappato una bottiglia che mi ha colpito sul serio.
Quale bottiglia? L’Alstroemeria 2019 di Kunoh Wines (prezzo enoteca estera: 25,00 euro), un Pinot Nero le cui uve provenienti da Upper Moutere (ghiaie argillose nel Nelson, nella parte superiore dell’isola del Sud, una regione famosa soprattutto per la produzione di bianchi) per un terzo fermentano a grappolo intero prima di affinare con la restante parte per una decina di mesi in botti di rovere esauste. Zero filtrazioni, chiarifice o aggiunta di SO2.
È un rosso davvero aggraziato, con quel naso così caratterizzante che si esprime a voce bassa, una cromaticità appena più carica rispetto a molti dei “nostri” Pinot Noir che ben richiama la centralità del frutto e un tannino fine che prepara la bocca a una chiusura acido-salina, anch’essa piacevole ed edulcorata.
Già dopo il primo bicchiere ho cominciato a chiedermi chi ci potesse essere dietro a un vino così seducente. Beh, diciamo che la risposta in parte ce l’avevo in casa. O meglio in cantina.
Yuki Nakano, il volto dietro Kunoh Wines è stato per alcuni anni l’assistente di Alex Craighead (Kindeli) il cui Invierno 2021 aspetta su di una mensola il giorno in cui verrà stappato (mentre io aspetto che mi convinca definitivamente sulla Nuova Zelanda). Inoltre il giovane giapponese produce anche un linea di vini nel suo paese natio con l’appoggio di Fattoria al Fiore, splendida realtà naturale della prefettura di cui ti avevo parlato non molto tempo fa qui, nel corso del piccolo reportage sul vino del Sol Levante.
Il quadro su di lui, splendido, mi è apparso più chiaro quando ho scoperto che, dopo aver lavorato come sommelier in diversi rinomati ristoranti di Tokyo, per realizzare il sogno di produrre da solo dei vini naturali perfettamente abbinabili alla cucina della sua patria, già da diverso tempo ha deciso, con uno spirito che definirei “molto giapponese”, di cibarsi esclusivamente della medesima per non rovinarsi il palato. Insomma uno di quei nerdaggi che mi incuriosiscono sempre.
Assurdità o poesia?
Di certo l’Alstroemeria mi è piaciuto talmente tanto che più che ad abbinarlo, sto pensando a come fare per recuperarne qualche altra bottiglia visto che non mi risulta che alcuna delle circa 9000 prodotte annualmente da Kunoh Wines sia distribuita in Italia.
E tu hai mai assaggiato un vino di Kunoh Wines? O ancora: pensi sia possibile che un giorno il vino ti annoi?